Beni Culturali

San Nicodemo del Kellerana

  1. San Nicodemo del Kellerana esempio di fede,
impegno sociale e morale
“Ecologista ante litteram”
di Stefano Scarfò

Visse circa mille anni fa e tra le migliaia di monaci magno - greci, la sua luminosa figura di asceta e di combattente per la fede e la difesa delle classi subalterne, svetta prepotente nella sua epoca storica cosi travagliata, difficile e carica di tragici avvenimenti che determinarono il corso degli eventi e il destino stesso di intere popolazioni. Dice il suo ”BIOS” o “ LOGOS” tradotto dalla lingua bizantina dal generale dei basiliani Apollinare Agresta che, giovanetto, fu accolto nella famosa Eparchia del Mercurion, dove sotto la illuminata guida del monaco S. Fantino il Giovane, assieme all’altro grande Santo di Calabria, Nilo da Rossano, fu educato alle virtù cristiane, prime fra tutte, lo spirito di obbedienza, macerazione della carne e dello spirito e la carità. Si distingueva in modo particolare per i patimenti fisici sull’esempio del Cristo sulla Croce, la continua preghiera protratta oltre i limiti umani, le continue esaltazioni mistiche che suscitavano l’ammirazione dei suoi confratelli. Ma, un giorno, sulla pacifica comunità eremitica, si abbatté l’uragano delle orde saracene che mettevano a ferro e fuoco interi villaggi con particolare accanimento verso le istituzioni monastiche. Nicodemo, cosi come gli altri frati, fu costretto a lasciare quel luogo di preghiere e, mentre il suo confratello Nilo da Rossano e Bartolomeo scelsero di andare verso Roma, nelle cui vicinanze, presso Grottaferrata, avrebbero fondato l’Abbazia, tuttora faro di luce del Basilianesimo, il nostro fraticello Nicodemo volle restare nella sua terra, in mezzo ai suoi corregionali, oltremodo bisognosi di guide spirituali e di personaggi prestigiosi che sapessero assumersi le responsabilità di pastori di anime e di capi coraggiosi per fronteggiare le divisioni e le lacerazioni che minavano la stessa entità etnica delle nostre popolazioni alla ricerca di posti sicuri per sfuggire ai continui assalti barbareschi. Nicodemo, dopo aver a lungo peregrinato tra masse di fuggiaschi, trovò rifugio, non tanto per sottrarsi alle incursioni moresche, quanto per continuare in solitudine la sua ascesi in una montagna veramente aspra, fitta di boschi inaccessibili, luogo di lupi, cinghiali, rettili, proprio nel bel mezzo della natura incontaminata dove sentiva con tutte le creature la presenza di Dio, dove il silenzio assoluto parlava apertamente della presenza dello stesso Creatore. In apparenza, il sito sembrava al di fuori del mondo, però, sul limitare della selva selvaggia, invece, vi scorreva quella famosa strada percorsa dagli antichi locresi che dalla riviera dei Gelsomini, attraversato il fiume “Sagra” si inerpicavano sul passo appenninico della Limina, ieri del Kellerana, per raggiungere la costa Viola, oggi piana di Rosarno, e fondare le loro colonie, Medma l'odierna Rosamo, Hipponium,  l'attuale Vibo Valentia.  Ben presto, malgrado la naturale riserbatezza dell’eremita, si diffuse la notizia della sua presenza, anche perché molti furono i giovani attratti dal carisma dell’anacoreta che si unirono a lui nella preghiera, senza, peraltro prevedere che moltitudini di fuggiaschi lo cercavano perché si ergesse in difesa degli oppressi e segnasse loro un posto dove vivere in tranquillità senza il continuo assillo di dovere peregrinare come nomadi in cerca di una valle che potesse accoglierli definitivamente.

Nicodemo, di fronte a tanta miseria morale e materiale, capì che oltre alle preghiere, al digiuno prolungato, era più necessario dare aiuto e conforto a chi saliva il monte per implorare protezione. Tra i più devoti frequentatori del monte Kellerana per essere confortati dal santo monaco, erano i fuggiaschi che, una volta scappati dalla marina ionica, si erano stanziati in una valle incassata sotto una lussureggiante e ridente corona di colline, con ai piedi un argenteo ruscello, il Locanus, dalle acque purissime, tutt’intorno prati verdeggianti, pingui pascoli, il posto ideale per gettare le basi per il sorgere di un grosso borgo al riparo dagli attacchi dei musulmani. Questo sito, in origine abitato prevalentemente da pochi, rozzi pastori, grazie alla presenza dei monaci orientali, acquista un’improvvisa importanza e, nello spazio di pochi anni, assurge al rango di importante centro nel quale si sviluppano in modo considerevole le attività artigianali che gli daranno fama fino alla meta di questo morente secolo. Non per niente i monaci, proprio sulla sponda destra del fiume, dirimpetto all’abitato, costruiscono un convento nell'anno 1035, secondo la pergamena scoperta dal prof. Andrea Guillou della Sorbona di Parigi, forse furono loro stessi a dare il nome al nuovo borgo che, essendo rintanato nel fondo valle, quasi nascosto, pudico, lo chiamarono Mammola, perché come questo odoroso fiorellino, sta celato tra la fitta vegetazione. Era naturale, quindi, che i paesani rivolgessero le loro attenzioni al santo monaco e ai suoi discepoli, si creò quei binomio indissolubile che ancora oggi continua e che sin dai primi momenti portò i fedeli, in modo spontaneo, a vedere in Nicodemo il Protettore, il Patrono, prima che la chiesa lo proclamasse beato dopo diversi secoli dalla sua morte. Intanto, quell’umile oratorio eretto dall’umile asceta, si ingrandisce, attorno sorgono le celle per i suoi confratelli, egli, esempio vivente di laboriosità, inizia a dissodare le terre, insegna a chi gli corre incontro che la fame e la carestia si vincono sudando sui campi e producendo quei frutti che il Signore ha messo a disposizione dell’umanità. Inoltre, promuove il rispetto assoluto per la natura, i boschi vanno protetti e difesi, cosi come tutti gli animali che vivono in libertà e ce ne da la prova di questo suo amore per le creature di Dio quando una vipera, sgusciata da una siepe si avventa su uno dei frati intenti a coltivare il campo.  Nicodemo si para davanti e blocca il monaco che con la sua  zappa stava per accoppare il rettile.  “Posati ss’armi e cessati ssa guerra” - recita un’orazione popolare che si perde nella notte dei tempi, che cosi continua: “Ca l’ha crijiata Dio pe stari in terra”. Senza parlare dei cervi salvati e dello stesso lupo affamato che i contadini e i pastori vorrebbero ammazzare, perché considerato belva feroce, mentre lui dimostra, come gli etologi del nostro tempo, che è un animale socievole al quale non bisogna dare una caccia spietata. Dieci secoli prima che l'uomo della civiltà tecnocratica si rendesse conto dell’importanza e della necessita di proteggere gli animali e l’ambiente, un umile anacoreta ci dà una grande lezione di ecologia, di comportamento e di difesa dell’ecosistema. Questo monaco, dopo una vita di stenti, privazioni, ma soprattutto di strenua lotta in difesa dei basilari principi di libertà, muore verso il 990, quasi contemporaneamente a S. Nilo. Secondo quanto narra un altro Nilo, monaco del Kellerana che scrisse la biografia del santo fondatore del monastero intorno al 1040, una moltitudine immensa sali sulla montagna per rendere omaggio all’uomo che aveva saputo ergersi contro i potenti e gli usurpatori in difesa dei deboli e degli affamati. La sua morte segna per il convento da lui fondato un'era di grandezza e il popolo lo proclama Santo e dà inizio a quei pellegrinaggi di fede e devozione per pregare sulla sua tomba che, ancora oggi, continuano incessantemente in particolari momenti dell’anno. Già lo stesso S. Fantino, di passaggio dal Kellerana, dove era andato a fare visita al suo discepolo prima di recarsi in Grecia, aveva pronosticato la santità dell’asceta, tanto lo vide forte nella preghiera, nella sofferenza, maestro delle plebi che con l’avvio al lavoro le aveva sottratte dalla triste condizione di servi della gleba. Il monastero del Kellerana, in seguito, crebbe ancor più in fama e grandezza, le donazioni di beni da parte dei fedeli si susseguivano  continuamente per le considerevoli rendite che producevano le terre amministrate. Intanto era cominciata l’opera di latinizzazione da parte della chiesa di Roma e per questo scopo, nel 1082,  il Gran Conte Ruggero, con un suo decreto, assoggettò il monastero del Kellerana alla Badia Benedettina della S.S. Trinità di Mileto, da lui stesso fondata. Ma i monaci, forti della loro tradizione magno - greca e dello spirito liberatorio, non si piegarono alla latinizzazione e non riconobbero nemmeno la giurisdizione della S.S. Trinità di Mileto, malgrado le riconferme dei successivi sovrani normanni e le scomuniche papali, cosi come è dimostrato dai documenti greci giacenti nella biblioteca apostolica del Vaticano scoperti  e pubblicati da padre Francesco  Russo.   Il monastero del Kellerana, in  sostanza, apparteneva al monachesimo bizantino - orientale e non  propriamente basiliano e ognuna di queste entità religiose era autonoma e si reggeva sulle norme dettate dal proprio fondatore, pur avendo dei riferimenti indiretti con le regole di S. Basilio. Forse, a spingere i benedettini,  questa é una malignità di qualche storico, a sottomettere il Monastero del Kellerana, non fu tanto l’idea della latinizzazione, quanto la potenza economica acquistata da questo complesso monastico diventata piuttosto considerevole, basti ricordare che nel 1433, la rendita dei beni di S. Nicodemo ammontava a più di 100 ducati d’oro. Fino alla fine del secolo decimo quinto il convento di S. Nicodemo godeva di un grande prestigio morale e spirituale, era continua meta dei visitatori apostolici e di migliaia e migliaia di pellegrini, il Vescovo di Gerace, mons. Atanasio Calkeopulo, lo visita nel 1483 e nella sua relazione scrive che è molto efficiente, le sue fabbriche sono in buono stato di conservazione, i suoi numerosi monaci molto attivi, vi trova un’importante documentazione composta di libri sacri, 70 strumenti, privilegi notarili, pergamene, anche se i più antichi e preziosi diplomi di S. Nicodemo erano stati trasferiti, coercitivamente, dai monaci di Mileto e depositati nei propri archivi e poi,  per ordine del Papa che voleva riunificare tutta la grande mole di reperti storici relativi al periodo del monachesimo magno - greco, depositati nel Collegio greco di Roma, ma non tutto il carteggio giunse nella città Eterna, purtroppo, perché buona parte fu preda delle numerose biblioteche italiane e straniere, vedi  Venezia, Buxelles, Parigi, qualche platea arrivò persino nella biblioteca di Leningrado. Il Kalkeopulo rileva pure un'intensa attività “scriptoria”, ma lui stesso, forse per assecondare le direttive del cardinale Bessarione, suo grande amico, nel 1485, decide di convertire la sua Diocesi, ultima in ordine di tempo, al rito  latino. Fu un duro colpo per le numerose eparchie bizantine ancora esistenti nella Locride, specialmente per i monaci di S. Nicodemo che si videro privati della loro entità storica e spirituale, accettarono il nuovo corso per quello spirito d’obbedienza proprio dell’ordine monastico, ma si trovarono demotivati, tanto é vero che di li a qualche decennio, il glorioso Monastero, fondato nel secolo decimo da S. Nicodemo, fu abbandonato per trasferirsi nella dependance, cioè nella sede più agevole, la Grancia di S. Biagio, nei pressi dell’abitato di Mammola, là dove continuarono la loro opera fino al 1807, anno in cui i francesi, decretarono la chiusura del Convento, la cui struttura muraria, perfettamente conservata, mostra ancora la sua possanza ed anche il grado di sviluppo raggiunto nei suoi secoli di attività. Dopo il declino del monastero del Kellerana, anche l’opera e la figura stessa del monaco Nicodemo andarono scemando, essendosi il suo culto localizzato nella pur ampia Vallata del Torbido e nella cittadina di Ciro’, che gli avrebbe dato i natali. Purtroppo, non ha assunto la notorietà del suo coevo e compagno Nilo da Rossano che si è trovato in una posizione strategicamente più favorevole, lì a Grottaferrata, e che nei confronti dei benedettini di Monte Cassino assunse una posizione molto consona all’opera di latinizzazione. Di poi, l’acquisizione della documentazione storica relativa al monastero del Kellerana e al suo stesso fondatore da parte della Badia di Mileto, non ha certo favorito il diffondersi della fama di santità, carità, azione sociale di Nicodemo. Sembrerebbe una sottile vendetta dei benedettini nei confronti dei monaci del Kellerana che, coraggiosamente, avevano difeso la loro indipendenza e cultura verso chi mirava a togliere l’autonomia e la stessa ragione di essere monaci magno - greci. Malgrado il silenzio di storici ed ecclesiastici, dall’ottocento in poi, il culto di S. Nicodemo si diffonde un po' dovunque ad opera delle migliaia e migliaia di Mammolesi che raggiungono tutte le parti del mondo coinvolgendo anche molti altri calabresi che vivono la stessa vita di emigrati. Disse, una volta un prete che aveva girato parecchie contrade, dall’Europa all’America del Nord, dall’Argentina all’Australia, se incontrerai un mammolese, sicuramente, nel suo taschino troverai l’immagine del suo Protettore S. Nicodemo.

La sua statua la si può trovare in una chiesa di Montreal, o a Buenos Aires, a New York come a Sidney, le comunità si ritrovano unite per celebrare, cosi come a Mammola, la festa solenne con processione, bande, fuochi d’artificio, riti veramente imponenti che in confronto quelli svolti nella madre patria sono povera cosa. Finalmente anche gli storici si sono svegliati. Infatti, questo umile anacoreta, degno di essere considerato fra i più grandi Santi della Calabria , è stato riscoperto e la sua opera rivalutata in tutta la pienezza del suo valore spirituale e sociale. Illustri personaggi e insigni ricercatori lo stanno esaltando, padre Francesco Russo, uno dei massimi storici della nostra terra, Andree Guillou, emerito professore alla Sorbona di Parigi, Melina Arco Macrì dell’Universita di Messina, il prof. Ferreri e tanti altri ancora, dedicano i loro studi a colui il quale, in un secolo di totale oscurantismo seppe indicare ai suoi monaci e alle genti bruzie la via da seguire per il riscatto dalla miseria e dalla depravazione morale e materiale. Nicodemo del Kellerana di Mammola deve occupare nella storia e nella vita della Calabria la stessa importanza che Egli ebbe mille anni or sono, perché il nostro popolo segue il suo messaggio di amore e di fraternità per la conquista di un futuro di serenità per tutti i suoi figli.

Stefano Scarfò

(L’articolo è apparso su Calabria Letteraria, edita da Rubettino, nr. 4-5-6 (Aprile,Maggio,Giugno)/1999 )