Poeti

Autobiografia siciliani

Autobiografia siciliani
Nel presentare questo angolo dedicato agli scrittori e poeti di Cirò non possiamo fare a meno di iniziare la presentazione con un poeta che più di tutti gli altri, con le sue opere ha dimostrato l’amore per la Calabria e per il suo paese natio.
LUIGI SICILIANI, scrittore, poeta nato a Cirò nel 1881 e morto a .Roma. nel 1925.
Di lui, per conoscerLo meglio, di seguito sarà presentata, per intero la sua “ Autobiografia pubblicata nel  “ RACCONTA NOVELLE”di E. Cavacchioli – 15 Maggio 1920.
Delle sue opere ne parla Egli stesso in detta autobiografia, a noi non resta che ricordare che il Poeta all’entrata in guerra  dell’Italia è volontario e giunge al grado di capitano di fanteria.
Nel 1919 viene eletto alla camera dei deputati in una lista di ex – Cambattenti di Catanzaro. Viene rieletto nel 1921 e nel 1922 è sottosegretario alle Belle Arti, nel ministero Facta: è il solo di quella compagine ministeriale ad essere confermato nella carica dal nuovo premier Mussolini.
AUTOBIOGRAFIA
 
Caro Cavacchioli,
la mia biografia letteraria per il tuo «RACCONTANOVELLE», questo ti ho promesso, non è vero? Ma un pò me ne pento. Co­loro che scrivono versi soggettivi, - ed io sono anche di questi -fanno proprio, o cercano di fare, la propria biografia intima, e spesso ripugnano da ogni altra forma di biografia. E dalla bio­grafia non essi solo sono alieni, ma anche molti poeti di quelli che si possono chiamare oggettivi. Leconte de Lisle è fra questi. Ed è forse il più refrattario, probabilmente in odio a quei suoi contemporanei che lo accusavano, di lavorare il marmo di Paro. Ricorderai certo il suo sonetto LES MONTREURS:
«Tel qu'un morne animai, meurtri, plein de poussière,
la chaine au cou, hurlant au chaud soleil d'été,
promène qui voudra son coeur ensanglanté
sur ton pavé cynique, ò plèbe carnassière!
Pour mettre un feu stèrile en ton oeil hébété,
pour mendier ton rire eu ta pitie grossière,
déchire qui voudra la robe de lumière
de la pudeur divine et de la volupté.
Dans mon orgueil muet, dans ma tombe sans gioire,
dussé-je m'engloutir pour l'éternité noire,
je ne te vendrai pas mon ivresse on mon mal,
je ne livrerai pas ma vie à tes huées,
je ne danserai pas sur ton tréteau banal
avec tes histrions et tes prostituèes ».
 
L'illusione però di Leconte de Lisle era grave. Egli credeva di non aver dato sé stesso in pasto al pubblico. Ma chi legge tra le righe ricostituisce sempre la biografia ideale di un poeta o di un romanziere. Il modo di guardare e di rappresentare la vita è già una confessione, e in questo senso perfino romanzi come I Promessi Sposi, Madame Bovary, Mastro don Gesualdo, ci danno la biografia dei loro autori. Ma il pubblico, dici tu, è già annoiato di queste mie sottilizzazioni, e vuole proprio quella che nel senso più comune si chiama la biografia.
Ed eccomi pronto a mantenere la promessa.
Sono nato il 15 febbraio 1881 in un paese che si chiama Ciro, nella provincia di Catanzaro, da una famiglia calabrese per molte generazioni.
Hai qualche lettore archeologo da contentare ?
Gli faccio sapere che in quella località dove son nato, c'era una colonia greca che si chiamava Crìmisa; non batteva moneta perchè era troppo piccola, ed era governata da demiurghi. Di uno di questi demiurghi è capitato fra le mie mani un atto pubblico, sissignore !, un testamento, in cui un marito faceva do­nazione di tutto alla moglie. Il mondo è vecchio: chi ha tempo passi da me, e. anch'io se avrò tempo, gli mostrerò questo te­stamento e gli farò sapere (ironia moderna dei nomi!) che il marito si chiamava Filone. E se l'archeologo non viaggia, perchè fa scuola o è pieno di acciacchi, legga questo testamento pubbli­cato in un volume del senatore Comparetti.
Hai qualche lettore esteta? (Ancora ce ne sono?).
Gli faccio sapere che in Crìmisa si possono cercare delle de­liziose terrecotte che nulla hanno da invidiare a Tanagra. Quan­to a trovarle, non sarà troppo facile.
Hai qualche lettore erudito ?
Gli faccio sapere che Ciro è un paese d'origine bizantina, fondato verso il X secolo dopo Cristo, e il suo nome antico è Psychròn, e significa «freddo».
Hai qualche lettore che s'interessa di agricoltura?
Gli farò sapere che Ciro ha molte vigne e molti uliveti, mol­ti armenti e buona cacciagione l'inverno. Dal cinghiale al tordo.
Dunque sono nato a Ciro. Ci ho imparato a leggere e a scri­vere e a disegnare una sedia, una tavola e una bottiglia. Ragioni per cui ebbi la licenza elementare.
Di là passai a studiare nel ginnasio di Catanzaro, dove ho ri­petuto la prima ginnasiale. (Risparmio una lunga dissertazione sulle cause).
Dalla seconda ginnasiale in poi ho studiato in Roma nel Colle­gio Nazareno, diretto dagli Scolopi (caratteristica distintiva: por­tavamo la marsina, il cilindro e il ferraiolo con il collo di velluto). In detto colleggio furono allevati due poeti di spiriti classici e battaglieri; l'uno è Giovanni Fantoni, l'altro è . . . non me lo ricordo, e non ho tempo di cercarlo per ora. Probabilmente ho avuto da essi in eredità magnetica i miei difetti.
A Roma ho fatto l'Università. Ho preso due lauree, una in legge e un'altra in lettere; ma non ho mai difeso una causa, né ho mai fatto un'ora di lezione.
Hai qualche lettore mondano da contentare ?
Gli farò sapere che a Ciro c'è il mare; ma egli non vi po­trà sfoggiare le sue eleganze, perchè non c'è una stagione bal­neare vera e propria; prima perchè la costa è assai profonda, poi per molte altre ragioni. Si fa. certi anni, una baracca sul mare, per le persone di riguardo, con un doppio turno, uno per gli uomini e uno per le donne. Niente da fare dunque per un mondano. E tutti gli anni c'è della gente che si spoglia sulla ri­va e prende tranquillamente il suo bagno. Occasione propizia, ma non consigliabile, per scultori in cerca di modelli.
Hai qualche commerciante da contentare ? A Ciro ottimi agrumi, olio buonissimo e in gran   quantità,   uva da taglio di prima qualità e vino vecchio - quando se ne trova -da centellinare dopo il pasto a preferenza di tutti i  vini  della
terra, almeno per conto mio.
E mentre facevo l'università scrivevo versi e ne leggevo an­che, tanti, tanti! che un critico mio amico scrisse che essi erano asserragliati sulle vie del mio spirito.
Ero erudito, in quell'epoca, e mordente. I miei compagni d'università volevano fare un'associazione di mutuo soccorso per l'arrembaggio alla gloria, lo me la ridevo e me ne infischiavo.
Ero dispettoso e puntiglioso. Ricordo che mi decisi a pubbli­care in una grande rivista, perchè il direttore di una piccola non ne voleva sapere.
Per un certo tempo fui censore gratuito dei versi offerti ad una terza rivista. Ero feroce, e mi feci dei nemici implacabili ed implacati. Fui un propagandista del Pascoli, e mi feci molti al­tri nemici. In mezzo a questi odii avevo qualche amore (l'amore è quello che si dà, non quello che si riceve): la Magna Grecia e l'Italia. Sono tutti e due istintivi: potrei dire come li ho col­tivati, ma non come sono nati.
Il primo libro l'ho pubblicato a Ravenna. Si trattava di una conferenza su «Giovanni Pascoli», che dissi là nel 1904 e fu pubblicata su un giornale. Ne feci trecento estratti: non li ho ancora esauriti.
Il 1906 stampai i «Sogni pagani» e le «Rime della lonta­nanza». L'editore fu Modes, che aveva nella sua libreria un mio compagno di Liceo, il quale aveva scritto una satira contro di me. Pare che io in quell'epoca avessi la manìa dei baffi, e un verso diceva precisamente di me:
Tre volte si   facea la barba, al  giorno.
Nel 1907, visto che quei volumi non avevano avuto la stam­pa e la diffusione che io desideravo, mi vendicai e pubblicai «Corona». A «Corona» debbo il principio della mia rinomanza, e, cosa curiosa, la mancanza di pubblico, che tanto affligge il mio caro amico ed editore Quintieri quando gliene parlo.
Che cos'era questa «Corona»? Era per lo meno un'arma a doppio taglio. Avevo tradotto dal greco antico e moderno, dal latino classico ed umanistico, dal tedesco, e perfino dal porto­ghese un certo numero di brevi poesie, ad esse avevo aggiunto nella proporzione di uno a quattro, delle mie poesie originali : una di cpieste «I palestriti», che avrebbe dovuto appartenere ad una vagheggiata ristampa dei «Sogni pagani», l'attribuii con una lunga ed erudita nota a un poeta alessandrino autentico, a Ria-no. Non tenni per me il segreto, e fu male. Molti critici togati furono avvertiti e tacquero. Altri critici togati caddero nell'im­boscata e mi lodarono anche. La lode mi disarmò. Pero mi di­vertii un mondo, specie con i critici minori. Alcuni, miei feroci nemici, dissero che il libro era una porcheria, tranne poche cose, e le specificavano. Erano proprie le mie. Figurarsi un parruc­cone come me a sentir dir male di tanti autori consacrati dai secoli! Comunque, da allora divenni uno scrittore di cui si par­lava, quantunque il leggerne le opere fosse considerato contro l'igiene, la moda, le scuole francesi in Italia, e via dicendo.
Dopo «Corona» la mia vita prese un'altra piega. Venni a Milano. In Milano pubblicai il 1908 «Arida nutrix». ancora pres­so il Modes: vi raccolsi le mie poesie intime sulla Calabria. Poi mi diedi mani e piedi legati all'amico Quintieri. Presso Quintieri uscirono nel 1909 le «Poesie per ridere», che furono subito scim­miottate: il «Giovanni Francica» (1910), romanzo di vita cala­brese che ebbe molte lodi e un premio, lodi anche di critici cresciuti come funghi intorno al Croce, gravi lodi che mi im­pensierirono a tal segno da farmi rinunziare per un pezzo al romanzo; i «Canti perfetti» (1911). in cui tradussi molto da Stvinburne e da Poe. con profonda meraviglia dei suddetti critici e dei cenacoli fiorentini, i quali avevano sentenziato che io non sentivo l'arte moderna. Motivo per cui e gli uni e gli altri fin­sero di non accorgersene. Pubblicai nel 1912 «L'amore oltre la morte». Le lodi insulse che non erano mancate ai miei prece­denti volumi, mancarono a questo. Ma esso   è   il   mio   libro  di
versi che si è fatto più strada. Raccolsi il 1913 i miei scritti di critica in «Studi e Saggi». Il 1914 scoppiò la guerra europea. Allora passai dalla contemplazione all'azione. Divenuto soldato avanzai dalle dipendenze di un maestro di ginnastica che mi chiedeva se sapessi l'italiano, per vari gradi, dalle truppe che abbandonai con dolore, agli uffici superiori. Detti la mia penna alla resistenza interna, pubblicando sull' « Idea Nazionale » i «Volti del nemico» che raccolsi in volume. I combattenti cala­bresi, memori del mio immutevole amore alla regione, mi chia­marono alla lotta politica. Così sono pervenuto a Montecitorio.
Pubblico in questi giorni tutti i miei versi dal 1912 al 1919, e li intitolo «Per consolare l'anima mia. ..»; io scrivo versi solo per questo, per consacrare il dolore. Tu vorresti che io mi spie­gassi ancora. No. È solo la mia storia esterna che posso narrare con un sorriso. La mia storia interna è diversa, e forse tu leg­gendola raccontata, non la crederesti mia.
Dicono che io abbia una vasta coltura. Sarà vero? Ho im­parato con assai fatica varie lingue straniere e ho letto moltis­simi libri. Mi sono interessato alle cose più varie. Quando ero piccolo, raccolsi un grosso erbario e una grande quantità di coleotteri. Sono stato anche collezionista di monete antiche. Ora raccolgo libri. Ma una cosa so bene, ed è questa: di non conoscere una infinità di cose che vorrei conoscere.