Convegni ed Eventi

Festa del Vino

 

Intervento

 

Nel 2002, sollecitato dal compianto direttore di Calabria Letteraria, Emilio Frangella, ho pubblicato un articolo dal titolo: “ACQUA PACCIA: L’ ORO DI CIRO’

Del lunghissimo periodo medioevale possediamo pochissimi dati che possono illuminarci sulla coltura del vigneto nell’agro cirotano.

Ci è noto che sotto gli Angioini il vino dei paesi collinari, che si affacciano sulla costa Jonica, si imbarcava a Crotone e che nel Quattrocento il Cirò era particolarmente richiesto e circolava anche fuori del Regno. “Nei primi anni del quattrocento nel mercato di Firenze il Cirò era il vino più costoso e apprezzato, e raggiungeva il prezzo di quattro fiorini d’oro”

Sappiamo ancora che nel 1591 venne ordinato un trasporto di vino dal Marchese Spinelli a don Parisio Bisanti, amministratore feudale di Casa Tarsia a Cirò e, con la nave di Sabino Cacciatulla, don Parisio spedì a Napoli “15 botti di vino, di cui 8 di bianco e 7 di rosso, bello e di buon colore, odore e sapore, bollate col marchio del Marchese Spinelli”.

Nel 1595, un umanista messinese citava presenti a Capo d’Armi “ripostigli pieni di Cirò, le botti odorose di Bacco sempre profumato”.

Il Cirò era particolarmente richiesto a Roma nel XVI secolo: “si concedono gran parte ancora a Sua Santità in mille et mille et duicento botti all’anno, et alli Cardinali di Roma, che non ve ne è nessuno che non faccia estrattione di cento bottiglie”.

La conclusione che sembra potersi trarre finora da questi dati sia pure parziali, è che, per tutta l’epoca medioevale fino agli inizi del settecento, la produzione del Cirò, sia pure limitata e circoscritta all’area di Brisi, era rinomata e richiesta anche fuori del Regno di Napoli, nonostante l’insicurezza e la difficoltà dello smercio del prodotto, essendo all’epoca la rete stradale del tutto insufficiente e impraticabile al trasporto su carri e la circolazione delle merci gravate da mille dazi, tariffe e balzelli, che incidevano pesantemente sul prezzo delle merci che veniva alterato almeno del doppio; tornava, pertanto, vantaggioso trasportare il vino con le navi, anche perché le botti e i barili non sopportano lo scuotimento dei viaggi terrestri.

Notizie più esaurienti si hanno per il Settecento.

Il territorio di Cirò nel secolo dei lumi era per buona parte spopolato, coperto da boschi nelle località Ardetto, Cacci, Martà, Terraine, Fatagò, Lardello, Manca di Nicastro, Loreto, Aus, S. Nicola, Carpinetto, Carroccello, Avisso, Donna Rosa, Frandina, Cufetello, Menta, S. Vennera mentre le terre Boccaglie, Vurgarotonna, Olivetello, Difesa Piana, Scalaretto, Vurghe, dislocate lungo la pianura costiera erano basse e paludose e invase dalle acque stagnanti nei mesi invernali.

La Marina di Cirò, circondata da colline, era simile a un bacino che raccoglieva buona parte delle acque che scendevano dall’alto e ristagnavano dall’autunno a tutto maggio. Una fascia di desolazione la cingeva e vi regnava la terribile e mortale insidia della malaria, che era diventata endemica in tutta la fascia costiera sin dal Seicento.

Scriveva il Galanti: “Le campagne tra Rossano e Cirò sono nel totale o poco coltivate o deserte. Vi viddimo molti animali vaccini e bufalini…….. Però i lupi sono in grandissimo numero e vi fan gran guasti al bestiame. In cirò il Comune da premio ducati due per ogni lupo che si ammazza o si prende alla trappola, ducati 2,50 se è femmina….. I lupi si avanzano fin sotto ai luoghi abitati, dove prendono i porci. La contrada è piena di boschi, per cui è difficile l’estirparli”.

A metà del settecento su un territorio di 8.823 ettari era coltivato a vigneto soltanto il 5% e cioè meno di 450 ettari.

Ma già sotto il regno di Ferdinando IV (1779-1806) “si iniziò a disboscare la marina, ad impiantare, a novellamente abitare; si produceva vino da soddisfare le necessità locali e dava margine a una modesta esportazione”.

Agli inizi dell’Ottocento, la coltivazione della vite nel territorio di Cirò è in crescita: dal 1040 tomolate si passa a 1318 tomolate coltivate a vigneto.

La situazione cambia notevolmente nella seconda metà dell’ottocento, dopo l’Unità d’Italia, quando iniziano ad essere assegnate le terre ai contadini con le quotizzazioni. Nel 1863 furono quotizzati 1030 ettari di terra nelle località Difesa piana, Campana, Querce schierate, Serra di Falcone, Cappellieri, Santa Vennera, Scalaretto, Frandina e Gianturco; nel 1886 furono ripartiti altri 453 ettari tra contadini nelle località Artino, Aridonniche, Terranova, Laccone dello Scolaretto, Martà, San Nicola, Caprio, Meriature, Santa Vennera e Malocretazzo.

Cambia così il paesaggio agrario, la coltura della vite fu introdotta massicciamente in terre che prima erano tenute prevalentemente a pascolo e seminativo, fuori dei confini secolari di Brisi.

A fare uscire la zona costiera dall’isolamento e a dare una forte spinta all’economia locale contribuì notevolmente anche la costruzione della rete ferroviaria ionica, completata nel 1875.

Dopo questa breve carrellata sul vino di Cirò Vi suggerisco quanto segue e Vi invito a riflettere:

Nel 2016 è stato stampato da un professore dell’Università di Montreal, Vincent Fourmier un libro dal titolo “LE VIN COMME PERFORMANCE CULTURALE”.

Vincent era venuto per tre anni consecutivi a Cirò Marina, ospite dell’avv. Susanna, il che dimostra che il nostro vino ha risonanza mondiale.

Mi permetto di darvi un suggerimento!

Quando la politica è debole ma è forte l’Associazionismo, che è l’unico antidoto all’imbarbarimento di una comunità, di un paese la cui storia si assopisce se non viene di frequente interrogata.

ROTARY CLUB CIRO’ MARINA, fatevi promotori di una iniziativa sollecitando la Regione a finanziare “La Festa del Vino” che abbia risonanza regionale, assegnando a Cirò Marina un premio al migliore produttore calabrese di vino doc, naturalmente scelto da enologi esperti.

Non è una proposta irrealizzabile 

Ricordatevi che qui a Cirò Marina in tempi non lontani ogni anno i compianti Giovanni Scilanga e Giuseppe Spatafora organizzavano un prestigioso premio letterario che aveva risonanza nazionale.

Quando nel lontano 1989 ho dato alle stampe il libro “Guida storico artistica di Cirò e Cirò Marina, nella introduzione così concludevo “I due paesi hanno uguali radici storico culturali perché vissero per secoli una comune vita. Voglio sperare che le due comunità ritornino ad essere unite come lo furono fino al 1952”.

Prof. Egidio Mezzi