Faccende Liliane

Egregio Dottor Giuseppe Gaudino

            Egregio Dottor Giuseppe Gaudino,
 
            non conoscevo affatto il blog “L’altra Cirò” di cui, credo, Lei sia l’ideatore o uno di essi o, quanto meno, la persona che ne cura, molto meritoriamente, lo stato di aggiornamento.
            Ciò che conta è che comunque anche io sono stato preso, per così dire, tra le maglie della sua rete, attrattovi dall’esca lanciatami dalla mia amica da una vita, la Dottoressa Maria Francesca Carnea che, certamente, questo mio scritto, spero farà arrabbiare solo un po'.
            Preliminarmente, Le chiedo di sorvolare sul mio incedere scritturale e, viepiù, su quello lessicale o allorché potrò cadere preda di errori ortografici, grammaticali o sintattici poiché oltre a non godere di particolari titoli accademici, la mia scolarità, ahimè, è abbastanza in là e datata nel tempo.
            Godo, però, ancora oggi, di una onnivora capacità di lettura che, spero, mi aiuti ad argomentare quel che mi preme dire sulla perniciosa materia dei natali di San Nicodemo e di Luigi Lilio.
            Allorché il compianto Professore Egidio Mezzi insegnava presso le Scuole Medie di Cirò, credo Italiano se non Storia e Geografia, anche questo scrivente era tra quei banchi, lì affidato, da chi in modo molto lungimirante scelse per me in quale corso scolastico inserirmi ed in quale classe, ad un altro mostro di cultura e di vedute in materie letterarie e di vita in generale, quale fu - per me lo è ancora oggi – l’altro compianto Professore Luciano Ceccarelli, indimenticato “urbinate” ed indomito fustigatore delle nostre menti e dei nostri strettissimi orizzonti di allora, in una classe già in quel tempo eccelsa, e non perché vi ero io, di molte e di molti che tracce poi di quegli insegnamenti seppero lasciare nelle loro ed altrui vite, di riflesso nella mia, per essere stati ed essere ancora oggi, irraggiungibili e fulgidi esempi di paragone.
            Ora, Dottor Gaudino, si chiederà, in primis, perché Le scrivo? Deinde, perché su quegli argomenti sopra citati?
            Da un bel po’ di anni ormai, il paese Cirò, amatissimo seppur non più da me abitato, sui personaggi storici sopra indicati, vive una diatriba infinita tra chi vanta titoli accademici e ne può sfoggiare le effigi e chi li vanta pure ma guai anche solo a riferirli o a fregiarsi delle seconde; tra chi su quegli argomenti ha stampa buona e chi ha solo la stampa che trova; tra chi ha “giusta” claque e chi solamente prossimi congiunti e pochi altri di pochissimo se non nullo spessore mediatico, politico, istituzionale, tra questi, ultimo, chi Le scrive.  
            Ai Dotti di studi sopra indicati, quindi sia a chi è acclamato con fragore che a chi ne gode di risicato - ed è questo il motivo per cui Le scrivo, Dottor Gaudino - nelle accese diatribe citanti spesso testi cui io - ah quale invidia!!! - mai avrò accesso e che ringrazio anche solo per farmene percepire l’alto lignaggio cartaceo dei tomi, ai predetti Dotti, dicevo, fa torto il non tenere conto dei lettori che li seguono per averne letto ciò che nello specifico hanno scritto, categoria di persone cui questo scrivente appartiene.
            Lettori appassionati delle loro teorie, dei risultati delle loro ricerche, delle loro maturate certezze, dei testi in cui le hanno, entrambi le parti, compendiate nonché delle conclusioni scientifiche e storiografiche cui sono giunti seppur, palesemente, tra loro in contrasto.
            Io, Dottor Gaudino, lo ripeto, sono un lettore vorace, onnivoro.
            La storia, ad esempio, di Cirò, mi entusiasmò da che lessi con grosse difficoltà stante anche l’età anagrafica in cui lo feci - ero, credo, in prima o in seconda media - la “Descrizione ed istorica narrazione dell'origine, e vicende politico-economiche di Cirò, in provincia di Calabria ultra 2^, e sua statistica esposizione, seguita da un cenno per le comuni di Crucoli e Melissa, componenti il circondario civile dello stesso Cirò”, di Giovan Francesco Pugliese.
            Già solo il titolo era, è, una goduria per me.
            I due tomi poi, dalla copertina rossa e rigida, quasi un messale, inducevano ad un religioso rispetto per ogni singolo foglio cui si approcciava che mai più ho provato da allora verso alcun testo antico o moderno che fosse.
            Neanche dinnanzi ad una “Gerusalemme liberata” del 700 cui un amico mirabile, in Roma, mi diede accesso.
            E da allora fu un piacere poter acquisire sul mio paese qualunque notizia storica ne uscisse fuori, qualunque pubblicazione, tra queste, anche, qualcuna del Professor Mezzi ma, anche, di Monsignor Antonino Terminelli ad esempio, fino ad esser preso da un entusiasmo raramente, anche in questo caso, riprovato allorché, nel leggere le “Ricordanze della mia vita” – altro testo già superbo solo nel titolo suggeritomi da altro eccelso “Maestro” (si sa, il Maestro è dentro all’anima e dentro all’anima per sempre resterà) della mia vita anch’egli Professore di Italiano, Storia e Geografia, oggi mirabile pensionato abbarbicato sulla punta di un colle ai cui piedi si protende la piana di Sibari - di Luigi Settembrini, lettura immediatamente successiva a “Il Gattopardo”, vi trovai un cenno di Cirò!!!
            Vede Dottor Gaudino, un lettore come me, oggi, a 55 anni, è completamente disinteressato a qualunque principio di metodologia della ricerca storica che è pur rilevante e fondamentale per tutta la parte di storia dell’Uomo di cui si ha non traccia ma documentazione certa o di cui, con certezza scientifica, se ne possono ricostruire – ed in questo caso vale molto l’autorevolezza ed il prestigio accademico dello storico che lo fa - le vicende.
            Oggi che qualunque ortodossia è caduta dalle mie vesti e che l’ingiuria del relativismo più non mi offende, Denis Mack Smith ed Erodoto, per me pari sono.
            Entrambi raccontano il mondo che hanno conosciuto ed indagato con le fonti cui hanno potuto attingere, entrambi non disdegnando mai di privilegiare il proprio punto di vista interpretativo su un fatto o su una circostanza ogni qual volta si presenti loro l’occasione.
            Di sicuro tale mio punto di vista, specie nel caso in ispecie – ossia valutare quale tra i testi e le teorie proposte goda dei crismi della esatta metodologia di ricerca storica e, dunque, solo di questi sposarne e farne proprie le tesi - palesa una debolezza non solo nel riconoscimento del metodo empirico della indagine ma, anche, ontologico del fatto specifico che, da lettore, più che accertare, si vuole, dapprima, solo conoscere.
            Voglio dire, essendo i due personaggi illustri di Cirò vissuti in epoche del passato di così difficile ed incerta attendibilità storica ed anagrafica, chi scrive, tendenzialmente, quasi plaude al lavoro storiografico che chiunque ha posto in essere per renderne quanto più certi anche solo i natali, senza tuttavia dar troppa importanza al rispetto pedissequo del metodo di accertamento storico usato, proprio per la particolarità dell’ambito di ricerca, disdegnando però di accettare fideisticamente o in nome di un corollario di cui non si è accertato alcun teorema precedente che, nel dubbio, sono certamente entrambi di Cirò.    
            Chi Le scriva non è personalmente interessato alla spasmodica ricerca documentale degli atti che attestino risposte certe a quesiti precedentemente formulati ma, molto più semplicemente, da lettore, vuole avere accesso a pubblicazioni che, figlie esse si dei presupposti di ricerca storica che li ha suscitati, lo orientino a farsi una propria ragione sull’indagato, gli diano una guida certa nel dedalo delle proprie incertezze conoscitive - o nulle - in materia.
            Sono un semplice lettore come Le dicevo. 
            Da semplice lettore, ellenico e comunista fino all’osso, come poterLe partecipare la fierezza di discendere da Filottete possessore dell’arco e delle frecce di Eracle nel pieno disinteresse storiografico se entrambi i personaggi della mitologia greca abbiano o meno calcato il mio stesso terreno??
            Come rappresentarle la totale indifferenza per la questione se Omero sia realmente esistito come unico cantore greco o se il nome Omero costituisca una sorta di patronimico letterario sotto cui si ritrovano vari e plurimi cantori antichi, diversi per linguaggio e maturità d’animo e di fisico, dinnanzi l’assurda bellezza dell’“Iliade” e dell’“Odissea”??
            Dopo la scoperte in Turchia delle mura di Troia da parte di un sognatore, Heinrich Schliemann, chi può realmente affermare che le vicende tra gli Achei ed i Troiani non siano andate veramente come l’ “Iliade” e l’ “Odissea” le raccontano?’
            Chi può realmente sostenere che Ulisse non sia stato amato da Circe dai riccioli belli o da Calipso la dea luminosa??
            Il partito italiano più votato dagli elettori che si sono recati alle urne per le ultime elezioni nazionali, celebra se stesso in una manifestazione che ruba il nome al protagonista di un libro il cui autore, tra l’altro profondamente antifascista, Michael Ende, non solo crea un “mondo fantastico” ma ne racconta altresì la saga.
            Il Ministro della Cultura, l’Onorevole Dottore Gennaro Sangiuliano, orgogliosamente – e per quel che vale con il mio personale plauso - impegna uno dei musei più importanti al mondo sulla figura di uomo, professore ed autore di JRR Tolkien, creatore di ere terrestri con tanto di cosmologia, miti fondativi e di lingua antica - soltanto sussurrata - e dell’epoca, ormai divenuti universali e transgenerazionali.
            Ecco perché non bisogna mai dimenticare, Le dicevo, le ragioni del lettore in generale specie poi quelle del lettore dell’anno duemila ventitré – duemila ventiquattro tra un po’.
            Mai prevaricarne la propria capacità critica di dedurne da se l’attendibilità e la puntualità storica dei fatti e degli argomenti trattati specie se questi risultano già noti ma non certi e sicuri.
            Da lettore, pertanto, da uno essenzialmente votato a sapere, mal si comprende perché le dogmatiche conclusioni di chi ritiene che San Nicodemo sia cirotano, che Luigi Lilio pure lo è, dovrebbero avere più appeal e fascinazione di una ricerca storica e metodologicamente valida che indica in luogo prossimo a Palmi i natali del primo o perché non si possa affermare che, nella mancanza di riferimenti storici indubitabili ed indiscutibili, si possano indicare solo come desumibili quelli di Lilio in Cirò – mi viene da dire “a ra Cappedda” - che comunque già tanto è.
            Sempre da lettore interessato, mi chiedo perché tanta veemenza “dottrinale”, specie poi in taluni che credono di incarnarla la “dottrina” più di altri, nei confronti di una Studiosa in materie storiche, filosofiche, politiche ed anche religiose – i cui studi e le cui pubblicazioni risultano addirittura antecedenti a quelli di tanti che comunque meritoriamente, per i casi citati, vi si sono anche impegnati – che, se anche fosse l’unica nota stonata della melodia che si vuol suonare o ascoltare, anche solo per questo meriterebbe posti d’onore e di maggiore visibilità I S T I T U Z I O N A L E – specie allorché convocati e costituiti -  in cui poter liberamente esternare il proprio pensiero ed illustrare le proprie ricerche storiche alla platea convenuta.
            Da uomo, poi, mi colpisce questo assoluto silenzio che molte delle donne costituenti l’establishment culturale locale - sia della provincia che della regione - ma anche politico ed istituzionale mantengono nella vicenda così come, d’altro canto, lascia perplesso la veemenza verbale con cui, invece, altre vi si inseriscono, raramente a tutela della libera espressione di pensiero che dovrebbero tollerare, sperare, suscitare e difendere.
            Più assordante di tutti, poi, specie sulla vicenda San Nicodemo, è il silenzio della curia vescovile crotonese o almeno così pare a me.   
            Cirò, specie su temi così dibattuti ma, anche, così fortemente identitari per una intera popolazione, ha necessità di pubblici dibattiti dove le tesi antagonistiche abbiano pari dignità e tempi, in pubblici luoghi o presso pubbliche istituzioni del nostro territorio, moderati da chi, senza alcuna condivisione di parte per l’una o per l’altra tesi, possa favorire un civile confronto tra le parti, nell’unico interesse divulgativo degli argomenti oggetti di indagine, così da partecipare i risultati di ricerca ottenuti alla più amplia platea pubblica affinché trovino e godano della massima diffusione di modo che ognuno ne tragga profitto e maturi un proprio convincimento.
            Soprattutto è necessario che chiunque dotato dei doni ma anche dei toni che la conoscenza gli conferisce e che, altresì, gli impone, nel reciproco rispetto personale e delle tesi sostenute, possa esternare le proprie conclusioni liberamente, indicando senza tema alcuno il percorso scientifico e di ricerca con cui è giunto alle conclusioni che porta e che sostiene.
            Tanto, poi, deve essere ancora più presente e pressante in chi, nella tenzone, gode di più fiato di modo che quello del proprio interlocutore non divenga mai corto, taciuto o, peggio ancora, non ne sia soffocato.
            Perché non si discute tra gladiatori, non in una arena, non dinnanzi ad un pubblico che ha pagato per vedere chi, nella contesa, uscirà vivo.
            È la cultura, bellezze!!
            Le dispute tra saccenti o sapienti che siano, non generano conoscenza se non partecipate ad una platea che ne apprende i principi e poi, magari, li va anche ad accertare da se considerata l’infinita possibilità che ognuno oggi ha di accedere al non saputo, alla c.d. cultura di massa grazie agli attuali dispositivi informatici.
            Poi, lo ripeto, se il lettore è affascinato da una storia o da una lettura così tanto da ritenere in cuor suo Gandalf o Atreju più vivi, vitali ed in salute dei loro vicini di casa, così sia.
            Perché glielo dicevo Dottor Gaudino, mai soffocare o non considerare le ragioni del lettore.
            Distinti saluti.
           Cirò, eterno posto del cuore, 22 dicembre 2023
           
            Post Scriptum:
            Essendo nativo del 1968, gli inizi degli anni 80 mi videro ancora tenero studente del Liceo Scientifico “Filolao” in Cirò   come molti e con tanti ancora dei mirabili compagni di classe di quelle medie - anche lì, ahimè, posto alle attenzioni di più che lodevoli Insegnanti specie, a mio parere, nelle materie a me più gradite, le umanistiche, che ancor di più stimolarono in me il già insito desiderio di sapere e di lettura.
            Cirò, al di là dei testi scolastici che era possibile acquistare nell’emporio di Mimmo Zizza - - dall’ipnotica fragranza che veniva fuori da tutto quel che vi era custodito ed affastellato metodicamente e certosinamente - e, da un certo periodo in poi, in quello di Michele Scerra - che meravigliosa comunità civile!!! - non godeva di un punto vendita di libri cui accedere e poter scegliere liberamente o secondo il proprio istinto ed intuito.
            Io però avevo stipulato con Bruno Stasi - barbiere ed edicolante indimenticato nonché caratteristico e caratterizzato punto di aggregazione anche sociale ed anche politico “e chiri tempi (di quei tempi)” - un patto, che tanta bonaria ira suscitava in mio padre, per il quale mi dichiaravo disponibile ad acquistare tutti i testi Mondadori che in edizione tascabile o ultima uscita egli poteva ritirare dai vari corrieri che lo servivano.
            Bruno, che aveva compreso molto bene da se quanto mi piacesse leggere e, anche, cosa, intuiva da se quando un testo mi era, per così dire, indigesto e, per togliermi dall’impasse di dovergli chiedere se ne era possibile la restituzione, mi diceva “Francé, su nu vo (se non lo vuoi), mi l’ani chiesti ati (me lo hanno chiesto altri)”, ed io, fingendo di credergli, gli dicevo “ok Brù, jé mi pijiu u prossimu (prendo il prossimo)”.
            Fu così che nella mia vita da lettore entrarono due testi molto belli e di facile lettura, entrambi di Luciano De Crescenzo: “Storia della Filosofia Greca. I presocratici” e, successivamente, “Oi Dialogoi. I dialoghi di Bellavista”.
            Entrambi i testi, se mai questo scritto troverà accoglienza sul suo blog Dottor Gaudino e venisse letto da qualche mio compagno di quella classe liceale che potrebbe ricordarlo, ingenerarono fertile dibattito sia con il docente di Filosofia di allora, Don Antonio Mazzone, che con quella di Italiano, Suor Andreina, entrambi estremamente compiaciuti di come Luciano de Crescenzo riuscisse a parlare dei “massimi sistemi” in modo quasi canzonatorio ma pur sempre proficuo per l’aspetto divulgativo che riusciva ad ottenere, senza apparire dissacratorio allorché, accanto ai giganti del pensiero filosofico, accostava umili o acculturati uomini del proprio tempo ad egli prossimi e noti nelle attività di vita e di lavoro che tenevano e svolgevano.
            In “Oi Dialogoi. I dialoghi di Bellavista”, vi era, vi è, contenuto un racconto breve, dal titolo “A mezzanotte va”, in cui si narrano le peripezie che un napoletano doc, Alfonso Cannavale “senza cappotto”, in una freddissima giornata di un imprecisato 31 dicembre dove persino “il Vesuvio è tutto coperto di neve”, compie per assicurarsi un po’ di moneta per acquistare e così onorare con i “fuochi di artifizio” la fine dell’anno.
            Deluso per l’infruttuosità di queste peripèzie (pronunciata alla “Totò maniera” e dunque con l’accento tonico non sulla ultima i ma sulla penultima e, credo) gli viene in mente quel che “il professor Bellavista…professore di filosofia” gli aveva detto a proposito del 31 dicembre ed in generale delle ricorrenze: a parere di questi, erano incerte anche per le difficoltà di misurazione del tempo che, sempre a parere di questi, né Gregorio XIII aveva determinato bene e ben che meno il Concilio di Nicea allorché aveva determinato “l’equinozio al 21 marzo”.
            Gregorio XIII e concili ecumenici cristiani…quanto quei giorni del 1985 avevano termini già simili a quelli di oggi in tema di misurazione del tempo e, rubandole pregnantissima citazione, di vicende “cirogene”?!
            Del libro sopra citato, nel 1988, Luciano De Crescenzo trasse un film ad episodi, “32 Dicembre”.
            L’ultimo di questi episodi – il cui interprete principale è un mitico Enzo Cannavale che vinse il Nastro d’argento come migliore attore non protagonista proprio per l’interpretazione di quel “Alfonso” - intitolato “I penultimi fuochi”, è ispirato al racconto sopra meglio citato, dove Luciano De Crescenzo stesso lascia a se l’interpretazione de “l’amico astronomo” che spiegherà ad Alfonso come e perché, secondo il suo punto di vista scientifico e di studioso,  il 31 dicembre non esiste, come e perché il tempo medesimo non esiste, in una scena recitativa della durata di poco superiore ai  tre minuti circa in cui viene altresì citato Luigi Lilio ed un errore di calcolo in cui egli incappò nella misurazione cui sottopose il tempo di allora….
            Magari è già nota ai tanti e di sicuro ai dotti in materia.
            Ma io la rivedrei volentieri.      
            Ad maiora semper,
 
  Francesco Critelli