Scrittori

Luigi Siciliani, Paolo Orsi e il Tempio di Apollo Aleo

Luigi Siciliani, Paolo Orsi e il Tempio di Apollo Aleo
(di Saverio De Bartolo)
“Noi che chiamati fummo greci, ma greci più grandi,
noi, ora siamo negletti in solitario abbandono”.
Questi sono i versi più noti di Luigi Siciliani. Riportati nella poesia intitolata Capo Krimisa in cui il poeta canta i fasti della Magna Grecia e il rimpianto dei tempi in cui era la culla della civiltà mediterranea.
Il componimento poetico è un percorso in barca lungo le rive del mare Jonio alla fine del quale il Siciliani idealmente va incontro alla scoperta del Tempio di Apollo Aleo. Ed ecco i versi in cui scopre,  poeticamente, presso il Capo Krimisa, oggi Promontorio di Punta Alice presso Ciro’ Marina, i resti del tempio:
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Avido cerco con gli occhi d'intorno se pure un vago vestigio
fosse rimasto del tempio splendente d'Apolline Aleo.
….
Tempio di Apollo, disegna le forme tue pure sul lido,
leva le belle colonne e l'istoriate metòpe!
Degno son d'entrare, or ch'è colcato il tuo dio
dietro i monti, nel tempio, e dirgli ch'io vidi il suo lume.
 
Nella realtà Luigi Siciliani, grande cultore della poesia greca, poeta e scrittore, più tardi Sottosegretario di Stato alle Belle Arti, ha sempre avuto molta attenzione all’archeologia del territorio cirotano e più in particolare alla scoperta del Tempio di Apollo Aleo, che lui riteneva fosse nel territorio di Capo Krimisa.
Nella sua Autobiografia, riportata in forma di dialogo con l’editore Cavacchioli, si trovano le tracce della sua passione archeologica. Riportiamo qualche frammento:
………..
Hai qualche lettore archeologo da contentare?
Gli faccio sapere che in quella località dove sono nato, c'era una colonia greca che si chiamava Crimisa
….
Hai qualche lettore esteta ? (Ancora ce ne sono?)
Gli faccio sapere che in Crimisa si possono cercare delle deliziose terrecotte che nulla hanno da invidiare a Tanagra. Quanto a trovarle, non sarà troppo facile.
….
Sono poi stato anche collezionista di monete antiche.
La presenza del Tempio di Apollo Aleo a Capo Krimisa, e in particolare nella zona detta delle Vurghe, una specie di paludi con pozze d’acqua molto profonde, in precedenza viene riportata dal Pugliese nel libro Descrizione e historica narrazione di Cirò. Luigi Siciliani probabilmente ha raccolto le notizie riportate dal Pugliese, e non ha mai abbandonato l’idea del ritrovamento del Tempio. L’archeologo Paolo Orsi, Soprintendente alle antichità per la Sicilia e le Calabrie, quindi responsabile delle ricerche archeologiche del territorio calabrese, fu più volte sollecitato a impegnarsi nella ricerca nel territorio di Punta Alice. Ma la sua ricerca fu per molto tempo priva di risultati concreti. E’ lo stesso Paolo Orsi, nel suo libro Templum Apollinis Alaei ad ammettere la mancanza di risultati:
“A questa mia diligente ricognizione ero stato anche replicatamente eccitato dalle premure del prof. Luigi Siciliani, … ossessionato al par di me dalla scoperta del Santuario di Apollo Aleo, che egli appoggiato a vecchie tradizioni paesane si ostinava a collocare a Punta Alice, mentre io, dopo aver esplorato la piana ed il primo sistema di colline che la dominano, venni via da Cirò colla ferma convinzione che il tanto sospirato tempio si ascondesse in qualche punto misterioso …”
Poi l’archeologo aggiunge:
“Per parecchi anni Cirò rimase silenziosa; ma subito dopo la guerra e per dar lavoro a gente disoccupata, il Governo pensò di tradurre in atto un vecchio progetto, di bonifica agraria e di redenzione sanitaria, colmando i piccoli pantani a NE di Cirò Marina, e regolando il deflusso degli scoli di quelle paludi mediante una rete di canali. A tali lavori si deve la messa in valore di una piccola zona, l'allontanamento da Cirò Marina del miasma palustre, infine la scoperta del tanto desiderato santuario di Apollo Aleo; che né io, né alcun altro archeologo avrebbe anche soltanto lontanamente sospettato esistesse dentro un pantano quasi impraticabile.”
Qui Paolo Orsi ammette la scoperta del Tempio e la validità delle insistenze del Siciliani. Ma le cose non andarono molto bene, durante gli scavi sono state commesse delle scorrettezze da parte delle maestranze e degli enti preposti, che hanno portato alla perdita di materiali di interesse archeologico. Le vicende sono commentate in dettaglio dal carteggio che Paolo Orsi ha voluto includere nel suo libro.
 
Carteggio Luigi Siciliani - Paolo Orsi
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“Ho voluto a mia giustificazione, che qui venisse pubblicato lo scambio di lettere ufficiali tra l'Ufficio del Genio Civile di Catanzaro, il prof. Siciliani e la Soprintendenza Calabra in Siracusa dai quali documenti risulterà che le prime scoperte avvennero a mia insaputa, non furono controllate dall'occhio esperto dell'archeologo e diedero luogo a talune dispersioni deplorevoli.”
GENIO CIVILE, 11 aprile 23
CATANZARO
Durante gli scavi per la colmata di bassure interessanti i lavori di bonifica dei terreni paludosi, compresi fra il torrente Lipuda e Punta dell'Alice, in vicinanza di Cirò Marina, che si eseguono dal Consorzio Autonomo delle Cooperative Ravennati, a cura di questo Ufficio, gli operai rinvennero, oltre ad alcuni mattoni di forme e dimensioni diverse, misti a pietre sbozzate ed a rottami di battuto di calcestruzzo formato con calce e sabbia, una maschera di terracotta, un piedistallo di marmo ed alcune monete di bronzo. Questo Ufficio... ha sospeso i lavori in quella località, denominata dagli abitanti Isola di S. Paolo, disponendo in pari tempo, che nulla venisse toccato, fino a tanto che codesta R. Soprintendenza non si sarà pronunciata in merito. (Omissis).
L'Ingegnere Capo Regg.
 
“Trattandosi di mattoni e di pavimenti in calcestruzzo non credetti di inviare d'urgenza persona sul luogo, tanto più che non si accennava menomamente alla presenza di ruderi. Diedi però severe disposizioni circa l'ulteriore andamento dei lavori di bonifica.”
 
Telegramma Roma 26-IV-23 .
Richiamo sua attenzione sui lavori di bonifica iniziati in prossimità della Punta dell'Alice in territorio di Ciro’, ove sono stati rinvenuti notevoli avanzi di monumenti antichi. Ritengo urgente sua presenza colà. Gradirò assicurazione.
Siciliani.
“Un po' allarmato da quanto mi comunicava l'on. Siciliani, inviai al Genio Civile di Catanzaro il seguente:”
Telegramma 27-IV-23.
Prego comunicarmi urgenza se avvenute nuove scoperte bonifiche Punta Alice, secondo mi telegrafa on. Siciliani.
Soprintendente ORSI.
“Ed il Genio mi rispondeva col seguente”
Biglietto postale di servizio urgente:
Catanzaro, 3O-IV-23. Informo codesta R. Soprintendenza, che gli scavi di cui alla nota di questo Ufficio 11-IV-23, n. 2167 sono tuttora sospesi. Non si sono fatte quindi nuove scoperte e ritiensi che comunicazione S. E. on. Siciliani debba riferirsi a prima mia notizia data contemporaneamente anche al Superiore Ministero. Non appena saranno ripresi i lavori questo Ufficio si atterrà alle norme dettate con la nota di codesta on. Soprintendenza 17-IV-23, n. .3945.
L'Ingegnere Capo Regg.
“Ma pur troppo il Genio Civile non si attenne alle mie precise disposizioni; il Genio aveva dato in appalto i lavori alla Cooperativa di Ravenna, e questa li aveva subappaltati in piccoli lotti a gente di Cirò. I danni veramente gravi devono essere avvenuti fra l'aprile del '23 e l'inizio del '24. Durante questi lavori si verificarono le scoperte più importanti; ma il Genio per non avere intralci nell'opera sua mantenne il più rigoroso silenzio.
Gli è nel febbraio '24 che una lettera dell'on. Siciliani viene a scuotermi e ad allarmarmi.”
 
Lettera privata.
Roma, 29 febbraio 1924.
Caro prof. Orsi, solo tre giorni fa ho potuto fare un sopraluogo a Punta Alice. Che strazio! I lavori di sterro per le colmate hanno distrutta la platea del tempio e di un altro edificio vicino. Giacciono sul suolo mattoni, rocchi di colonne e capitelli. Il canale di scarico della bonifica dovrebbe proprio passare su quel che è sopravanzato del tempio. Non può Ella fare una corsa o mandare uno di fiducia per le direttive da tenere ?
È stato trovato qualche acroterio (Meduse di 25 cm. di diametro), e altri mascheroni più piccoli, pezzi di marmi, una testa maschile di marmo di statua antica un po' più grande del naturale, con i capelli portati via dallo scalpello; è probabilmente una immagine antica riadattata dai Bizantini; sulla fronte ci sono i buchi dove doveva essere infisso il diadema.
Caro professore, sono proprio desolato. Veda un po' se può salvare qualche cosa mandando operai tecnici.
Suo Luigi  Siciliani.
 
“L. Siciliani, filologo, letterato ma non archeologo o cultore d'arte, ardeva della nobile passione di dare al suo luogo natìo rinomanza archeologica, legando il suo nome alla scoperta del santuario di Apollo; se il suo voto venne appagato, giustizia vuole però si dichiari esageratissimo il giudizio dato nella lettera che ho qui prodotta. Malissimo fece il Genio Civile a non informare la Soprintendenza, ma la bonifica non danneggiò che in minima parte il tempio, già ridotto da secoli ad una misera rovina, sopra della quale s'era formato un cumuletto di sabbie; asportato questo, venne in vista il rudere, quasi per niente toccato dai lavori di bonifica; soltanto se ne tolse il mantello sabbioso che lo ricopriva e che conteneva tante cose interessanti, mandate a colmare l'acquitrino. Ognuno avvertirà poi il grosso equivoco preso dall'on. Siciliani a proposito della testa marmorea, da considerare come la preda più bella, e che il buon senso dei dirigenti la Cooperativa ravennate mise tosto al sicuro; nessuna colpa io faccio al compianto mio illustre amico di non averla capita.
“In seguito alla lettera dell'on. Siciliani io moveva asprissimi rimproveri al Genio Civile di Catanzaro di non aver mantenuto le promesse, e le disposizioni da me date, e l'11 marzo era sul luogo il mio bravo assistente prof. R. Carta, colla quale data si inizia la fase dei lavori effettivi di esplorazione.
Il Carta, sorretto da una lunga esperienza riconobbe tosto che le reliquie del tanto ricercato tempio esistevano, per quanto esse fossero reliquie assai misere e lacunose; riconobbe che lo stato di rovina del tempio datava da vari secoli, e che i danni cagionati dalla bonifica all'edificio erano minimi, laddove il danno più rilevante consisteva nella dispersione delle sabbie ammonticchiate sopra il rudere, con quanto di prezioso esse racchiudevano. Constatò che i funzionari della Cooperativa Ravennate avevano fatto del loro meglio per mettere in salvo quanto si veniva scoprendodevesi ad essi il ricupero dei pezzi preziosissimi della testa e dei piedi dell'acrolito, di una quantità di antefisse fittili, e di altre cose minori. Ma pur troppo nel lavoro affrettato di caricamento sui carrelli della Decauville e di scarico nelle bassure pantanose circostanti al tempio che molti piccoli pezzi, provenienti dalla favissa,  per fortuna era stata solo superficialmente scalfita, andarono perduti, od anche, i più appariscenti, trafugati dagli operai.
Il lavoro di rivangamento di una parte delle colmate mi mise in fatto in possesso di taluni pezzi non indifferenti.”
“Uno dei fatti che più ebbi in seguito a lamentare si fu, che per la mancata vigilanza scientifica in questa prima fase del lavoro tumultuario di sbancamento, non si fosse tenuto rigorosamente distinto il materiale architettonico rinvenuto nell'area del  tempio e nella sua immediata vicinanza, dall'altro di gran lunga più copioso derivante da quelle che io chiamai le Case dei sacerdoti, che nella forma in cui ci sono pervenute appaiono di età greca tarda ed anche romana.”
“Quando la mattina del 3 maggio io la mattina mi recai per la prima volta sul luogo fui sinistramente colpito dallo stato miserando in cui le ruine si presentavano, ed appariva tosto evidente quello che per altra via sapevamo, cioé che il tempio nei secoli passati fosse stato ridotto ad una cava di pietre.
Il punto preciso dove sorgeva il tempio si chiama in dialetto Misola o Mesola di S. Paolo il che significa Isola di S. Paolo. Siamo in linea retta a circa m. 700 a 500 dal Faro di Punta Alice, ed in linea retta altrettanti ad Oriente della spiaggia. (…)”
………
“A complemento di tali dati, debbo però aggiungere un’altra notizia. Il compianto prof. Siciliani, che per lunghi anni fu letteralmente ossessionato dall'idea di scoprire il tempio di Apollo Aleo, raccoglieva in casa sua, e nell'ultimo tempo coadiuvato anche dalle guardie municipali di Cirò, ed in particolare da una a lui fidata, quanto di antico si rinveniva nelle campagne. Egli formò così una collezioncina di monete, di frammenti di terrecotte figurate, di cocci diversi; ma ebbe il torto grave di non distinguere e segnare le provenienze. Parecchio materiale spicciolo egli ebbe dai lavori di bonifica ma più dai lavori del serbatoio di Ciro’ eretto in terreno suo. È di lì che trasse molti frammenti di piccole figurine, non ancora adeguatamente studiate. Ma ripeto, soprattutto durante la sua lunga malattia, tutto fu mescolato e confuso, con danno quasi irreparabile per i nostri studi. Proviene, a quanto pare, dai lavori di bonifica un pezzo di tegola romana con doppio bollo di fabbrica, una maschera gorgonica ed altre cosette. Ma il meglio del materiale deriva dai lavori antebellici del serbatoio dell'acquedotto civico.” (…)
Il Siciliani, ammalatosi gravemente di nefrite, muore il 24 maggio del 1925, probabilmente senza vedere quello che era emerso del Tempio alla fine degli scavi.
Da altra fonte documentale si apprende la destinazione del materiale archeologico ricuperato. Nelle “Memorie della vita di Francesco Sabatini” pp. 29-32, (testo inedito riportato nel libro ‘Cirò Dotta’ di Egidio Mezzi, pp. 327-332,) si trova la seguente notizia:
“Nell’aprile del 924, durante i lavori di bonifica del pantano delle ‘Vurghe’ a Capo Alice, furono scoperti i ruderi del tempio di Apollo. Il prof. Orsi … diresse gli scavi e fu ospite per quasi quindici giorni della mia famiglia. … Tutto quello che trovò di interessante, compresa la statua di Apollo a mezzo busto in marmo, Orsi lo caricò su due vagoni ferroviari e lo trasportò al Museo della Magna Grecia in Reggio Calabria.” (Francesco Sabatini, agronomo e combattente, il 6 marzo del 1925 assunse la carica di Podestà del Comune di Cirò e la mantenne fino alla caduta del Fascismo).
Attualmente alcuni reperti del tempio si possono osservare al Museo di Reggio Calabria, dove è conservata la splendida testa di Apollo Aleo, al Museo Archeologico di Crotone e al più recente Museo Archeologico di Cirò Marina.
I ruderi del tempio di Apollo Aleo, quel che è stato messo in evidenza dagli scavi, che è soltanto la struttura a terra, recintata a cura del Comune di Cirò Marina, è visitabile a fini turistici nella piana antistante il Promontorio di Punta Alice. Un cartello ne indica la storia.
 
Allegati:
Testa di Apollo Aleo (immagine da: Alfonso De Franciscis, AGÁLMATA, L’arte Tipografica, Napoli 1960).
Ruderi del tempio di Apollo Aleo, (foto a cura di chi scrive, anno 2002).
Tabellone collocato all’ingresso del recinto dei ruderi del Tempio, (foto a cura di chi scrive, anno 2002).
Riferimenti bibliografici
Paolo Orsi, Templum Apollinis Alaei ad Crimisa Promontorium, Laruffa Editore, Reggio Calabria 2004.
G.F. Pugliese, Descrizione e historica narrazione di Cirò, Napoli 1849.
Capo Krimisa, componimento poetico da: Luigi Siciliani, L'altare del fauno
Nicola Zanichelli Editore, Bologna 1923.
Luigi Siciliani, Autobiografia riportata in: Luigi  Siciliani, L’ignota, in Racconta Novelle, periodico quindicinale del 15 Maggio 1920, Casa Editrice Vitagliano, Milano.
Egidio Mezzi, Cirò Dotta, Studio Immagine Futura, Belvedere Spinello (CZ) 1992.
Ringraziamenti:
Il carteggio Siciliani – Orsi è riportato nel testo per gentile concessione dell’Editore Laruffa.