Scrittori

I Giorni Rubati

I GIORNI RUBATI
E IL POTERE SUL TEMPO
Michele Smargiassi
 
Nell’anno più corto della storia, il 1582, il mondo si addormentò la sera del 4 Ottobre e si svegliò che era il 15. Un Papa bolognese di nome Gregorio XIII aveva cancellato dieci giorni da un calendario stanco ed approssimativo per costringerlo a rincorrere il perfetto ticchettio delle sfere celesti. Quella riforma gregoriana che può sembrare una vittoria della scienza, questo racconto di Antonaros ce la ribalta nell’estremo tentativo di una casta arcaica, la Chiesa, di conservare il proprio potere almeno sul tempo, avendo armai perduto quello sullo spazio. L’Effetto di quello scatto cronologico fu l’opposto: sostituendo l’autorità del passato con l’ansia del futuro, la Chiesa accelerò l’avvento della modernità, il suo veleno più letale. Ma su questo scenario globale il libro libera la sua fantasia narrativa, dando vita allo splendido impossibile duello fra un papa furbo, iracondo e scurrile e un malconcio, debole ma sincero popolano stritolato dagli ingranaggi dell’orologio della storia, dai quali riuscirà a salvarsi solo perché possiede l’unico dono capace di sfuggire alla prepotenza dello spazio e del tempo.
 
 
ALFREDO ANTONAROS:
anno 1582, i dieci giorni scomparsi dalla storia
 
Col suo quinto romanzo Alfredo Antonaros ( 1950 ) prende ancora una volta un percorso diverso, dopo gli inizi che, con Tornare a Carobel ( 1984 ), Mahò, Storia di cinema e di petrolio (1987) e Per Sarah (1989), l’avevano segnalato tra le voci più interessanti e nuove della sua  generazione, per il narrare radicatoin una storia privata di autore nato da padre italiano e  madre greco- eritrea. Ne veniva un tono mitico e favoloso dai risvolti di realismo visionario, le cui inquietudini si sarebbero poi trasposte nelle interrogazioni più metafisiche de La piattaforma (1997). Ed è per una dimensione che direi mediana che Antonaros opta con L’Anno dei giorni rubati, al cui centro sta la vicenda del tempo, rivisitato nelle traversie soprattutto politiche del passaggio dal calendario Giuliano al Gregoriano che nel 1582 cancella dieci giorni, traghettando d’un colpo il mondo occidentale dal 4 al 15 Ottobre. E però narrato nella prospettiva per certi aspetti richiamante le prime opere, per l’andamento tra il realistico, fantastico e magico - picaresco, cadenzato da una scrittura tra divertita, scanzonata e grottesca. A dettare questo aspetto, calato soprattutto su personaggi e società di potere, è la duplice prospettiva del racconto. Più bassa la prima: gli occhi del ciociaro che guida i tre prelati che nel 1576 circa, su ordine del gesuita Cristoforo Clavio si recano a Cirò dal medico matematico e astronomo Luigi Lilio per coinvolgerlo nella commissione che sta approntando il nuovo calendario voluto dal bolognese papa Gregorio XIII. Appena più alta la seconda: di Antonio Lilio, il fratello di Luigi, alla cui morte decide di portare di persona al papa il prezioso manoscritto ( svanito nel nulla: ne restano tracce nella decina di copie superstiti del Compendium trattone per la commissione nel 1577, da cui l’anastatica del 1982). Ed è soprattutto con Antonio, nella realtà medico e astronomo ( artium et medicinae doctor, lo saluta il papa all’atto della consegna ricordato da un monumento nella Basilica Vaticana ), ma che Antonaros reinventa come cantore della cattedrale di Cirò, che il romanzo assume il doppio totno: mitico-picaresco nel soggiorno romano fatto di contasti col papa e ancor più nelle disavventure tipografiche del monopolio per la stampa universale del calendario, salvato dalla forca papale proprio dal suo canto angelico; e quello più intimistico e sensualmente sentimentale con l’altrettanto bel personaggio della sua serva. Nato nel cinquecentesimo anniversario dalla nascita di luigi Lilio (1510) vera mente scientifica del calendario,il romanzo si struttura sul gioco di specchi tra racconto falsificante la storia e le numerose note che saldano il fantastico al reale su ogni piccolo aspetto storico ( e però disturbanti la lettura, sicchè le tralasci per tornarci alla fine).  E se regge quasi sempre il gioco che mescola i dialetti, altalenanti sono invece l’insistito pedale del grottesco ( ben gestito coi paesani calabresi , meno con corte papale e papa), e l’eccesso di casistica, peraltro a volte davvero goduriosa, su quei dieci  “ giorni rubati”. Quanto alla postfazione di Margherita Hack se ne poteva tranquillamente fare  a meno.
Da Scrittori d’Italia
Di Ermanno Paccagnini
 
LA LETTURA
I GIORNI DEL PAPA
di Nello Ajello
 
Quattrocentoventotto anni fa, il 4 Ottobre 1582, accade un evento straordinario: la storia dell’uomo viene abbreviata di dieci giorni. L’indomani non sarà, com’è naturale aspettarsi, il 5 ma il 15 ottobre. Con una sua apposita bolla, papa Gregorio XIII, un bolognese ultraottantenne, ha voluto sanare uno scompenso cronologico, creato dal calendario di Giulio Cesare nel remoto 46 avanti cristo. E’ la riforma gregoriana, i cui effetti vengono ricostruiti da Alfredo Antonaros nel romanzo “ L’anno dei giorni rubati” ( Pendragon pp 142 € 16 ). In cerca di pezze d’appoggio teoriche, il pontefice ha mandato una delegazione in Calabria, “ terra di banditi, pastori e affamati”, alla ricerca di tale Luigi Lilio, esperto in astronomia, autore d’uno scartafaccio inteso a riordinare l’orologio universale. Senonchè sconvolto dall’intervento pontificio, lo scienziato muore d’infarto. Gli sovviene il fratello, Antonio, cantore di cappella e detentore di quei manoscritti: è lui che Antonaros rende protagonista dell’intreccio. Il quale assume un andamento parodistico, tra viaggi e trasferte del personaggio in una Roma tardo – rinascimentale, sontuosa e cialtrona. Antonio viene incaricato di stampare montagne di calendari aggiornati, intascandone i proventi. Compito che non riesce a svolgere; finchè, sentendosi ingannato escogita contro la Chiesa una rivalsa che ha l’unico effetto di farlo condannare alla pena capitale. Colpo di scena: papa Gregorio deliziato dalla voce di Antonio, sottrae alla morte  quello “ straciamaron d’un calabres”. Raggiri della fede,  mitigati dalla clemenza della fede ex cathedra.
 
Da: l’Espresso
8 Aprile 2010