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Storie di alcune credenze popolari

Storia di alcune credenze popolari di Ciro'

(a cura di Saverio De Bartolo)

La storia delle credenze popolari cirotane raccoglie le credenze di tesori nascosti e di personaggi fantastici.
Alcune di queste credenze sono “La chioccia con i pulcini d'oro” della Catena, “Il tesoro di monte Tamurro”, “Il Monacheddu”, La storia di “Marcu nta rutta”.
Di seguito riportiamo la storia di queste credenze, rivisitate consultando diversi testi che ne hanno fatto analisi critiche e letterarie.
Il tesoro della Catena
Nella memoria degli anziani di Ciro', il tesoro della Catena è il più suggestivo: si tratta di una chioccia con sette pulcini d'oro. La collocazione sembra essere in una delle grotte del posto, altri dicono in un pozzo sotto l'altare della chiesetta della Madonna della Catena, che si trova nel territorio cirotano a qualche chilometro dal paese. Il ritrovamento avviene attraverso il sogno. La persona che sogna deve recarsi di notte sul posto; ma c'è un particolare: il tesoro è visibile solo a chi lo cerca con animo puro, innocente, disinteressato. La visione è inaspettata e accolta con stupore e ammirato della bellezza.
Il fatto che si dica che questo tesoro sia stato trovato, e, la fantasia si spinge ancora più in là, che si mormora persino il nome del fortunato, non vuol dire che sia vero. Mancano i riscontri e la diceria può voler dire che la persona indicata può avere mutato la sua condizione economica nel tempo. E questo può essere stato il pretesto.
La storia della chioccia è trattata dal Lapucci nel suo Dizionario delle figure fantastiche, di cui riportiamo uno stralcio. Per chi vuole saperne di più si invita a cercare in internet, e troverà di sicuro di che meravigliarsi.
“”La Chioccia d'Oro
Il potente re Porsenna si fece costruire a Chiusi (o forse nelle vicinanze) una grande tomba sormontata da cinque piramidi con in cima "un globo di bronzo e un unico petaso dal quale pendevano campanelli tenuti con catene, che, agitati dal vento, spandevano i suoni che si udivano da molto lontano" (Plinio, Naturalis Historia, XXXVI, 13).
Nei sotterranei di questo mausoleo, che Plinio vuole sotto la città di Chiusi, Porsenna fece scavare un grande labirinto e là dentro si fece seppellire in un cocchio d'oro trainato da dodici cavalli d'oro insieme a una chioccia con cinquemila pulcini tutti d'oro.

Certe notti, si narra, si è visto la Chioccia sfolgorante uscire della terra portandosi dietro uno sciame brulicante di piccole luci dei bagliori dorati: è la Chioccia d'oro di Porsenna che fa pascolare i suoi piccoli nei campi, nei boschi intorno a Chiusi.
Veramente Chiusi ha nel sottosuolo una serie di cunicoli e gallerie, dette il Labirinto di Porsenna (V.) su cui nel corso dei secoli si è studiato, favoleggiato e indagato con ricerche e scavi (v. F. Fabrizi, Chiusi: il Labirinto di Porsenna - Leggenda e realtà, Cortona 1987.
La Chioccia d'oro con i pulcini, che in genere sono dodici, è una figura assai comune in Italia e si trova in due forme: come tesoro nascosto che è dato di trovare mediante espedienti e incontri con figure magiche; come vero e proprio essere magico che esce dal suo nascondiglio e si aggira soprattutto di notte. E' quest'ultima forma, più rara, che interessa questo repertorio; per la prima forma v. un nutrito elenco in: D. Spada, Gnomi, fate e folletti e altri esseri fatati in Italia, Milano 1989.
Punto di riferimento di queste figure può essere la Pittta di Teodolinda, in argento dorato, che si trova nel Duomo di Monza. Pare che sia un simbolo longobardo e rappresenterebbe il re e i duchi, ovvero la regina e le provincie del regno. Su questo schema si articolano sia i vari tesori, sia le forme animate.
Non è da escludere che la leggenda adombri un mito legato a divinità della luna e delle stelle.
Chioccia della Manduria.
E' una chioccia che ama aggirarsi nelle zone intorno al suo covo; si trova in terra d'Otranto presso la fonte Manduria (v. V. Gigli, Superstizioni, pregiudizi e tradizioni in Terra d'Otranto, Firenze, 1983).
Chioccia della Gnazzitta.
Si trova a Longobucco (Catanzaro) nascosta sotto un macigno detto della Gnazzitta (v. anche Spettri del Conero).
Chioccia di Navara.
A Novara (Sicilia) una di queste chiocce apparirà nel caso che si sacrifichi un neonato sul posto dove si nasconde. Ancora nessuno l'ha fatto …
Chioccia di Riello.
In una grotta di Riello, vicino a Viterbo, al tramonto si vede errare una chioccia con i pulcini.
Chioccia della Foce.
A Lucca in via della Foce ai Palazzi Gunigi qualcuno vede una chioccia con dodici pulcini che però pare non siano d'oro.
Chioccia d'oro con 40 pulcini.
Nel “castello” di Malmantile (Firenze) si aggira una chioccia d'oro con 40 pulcini, facente parte di un tesoro nascostovi da Castruccio Castracani
(v. M. Desii, Il Malmantile, Firenze, 1984. “”
(Carlo Lapucci, Dizionario delle figure fantastiche, Vallardi, 1991, pag. 88-90)
U trisoru e Montu Tamurru
(Il tesoro di Monte Tamburo)
Il tesoro di Monte Tamurro (o Tamburo) è una delle altre credenze popolari di Ciro'.
Probabilmente il Monte Tamurro è un posto di fantasia. Esiste solo in una espressione dialettale, laddove qualcuno dice a una persona che incontra: cos'a trovatu, u trisoru e Montu Tamurru? Forse per indicare l'improvviso sfoggio di benessere della persona.
Un altro riferimento riguarda la testimonianza di una ragazza che parla con una donna anziana, seduta sulla porta d'ingresso della sua casa nel vicolo. Questo è il dialogo tra le due persone:
è pijatu u trisoru e Monte Tamurru? No? Allura a Calabria è povera!
Qualcuno ha trovato il tesoro di Monte Tamurro? No? Allora la Calabria è sempre povera.
Il monte Tamurro, per ipotesi, potrebbe fare riferimento anche al Monte Tabor, dei Vangeli di Matteo, Marco e Luca, rielaborato nella tradizione popolare per assonanza linguistica. Ma non si trova una leggenda, una corrispondenza geografica, un luogo, che abbia qualche legame con tesori nascosti. Come può risultare dalla storia del Monte Tabor, nei Vangeli citati, riportata qui di seguito.
Monte Tabor
“”Tabor. Monte che si innalza a NE della pianura di Yizreel, nella parte settentrionale di Israele. Il monte Tabor è identificato come il monte della trasfigurazione di Gesù (Mt. 17, 1-13; Mc. 9, 2-13; Lc. 9, 28-36) e quello su cui Gesù, dopo la resurrezione, riunisce gli apostoli per affidare loro la missione di portare il Vangelo a tutti i popoli (Mt.28, 16). Sul Tabor furono costruite (sec. VI) tre basiliche per ricordare le tre tende di cui parla l'episodio evangelico della trasfigurazione.
La trasfigurazione, nella tradizione cristiana, riguarda l'apparizione di Gesù in gloria ai discepoli Pietro, Giovanni e Giacomo sul monte Tabor. La trasfigurazione è la  solennità religiosa con cui, il 6 agosto, la chiesa commemora l'avvenimento.””
Conclusione.
Il messaggio, si può soltanto supporre, a questo punto, sia che i Calabresi debbano scoprire il mitico Monte Tamurro, e trovare il tesoro per uscire dalla povertà endemica dalla Calabria. Però non è dato sapere come dove e quando questo possa avvenire.
Oppure che il Monte Tamurro sia la Calabria stessa, alla quale Gesù affida ai Calabresi, come ha fatto con i suoi apostoli, il compito speciale, di cercare di mettere a frutto le risorse della Calabria, che sono i veri tesori che la natura e la storia gli hanno riservato, per uscire dalla povertà.
(Nota sulla voce Tabor, da: l'Enciclopedia, vol. 19, pag. 385, editore, La Biblioteca di Repubblica, 2003).
U Monacheddu
Nella ricerca delle tradizioni popolari nel territorio cirotano, ho trovato dei riscontri interessanti sul Monacheddu nel “Dizionario delle figure fantastiche” del Lapucci. Secondo il quale le figure del Monacheddu sono diverse a seconda dei territori dove vive nelle fantasie dei luoghi, in Calabria, nel Napoletano, a Eboli, nel racconto di Carlo Levi nel suo “Cristo si è fermato a Eboli”.
Nel mio libro “Kakovia” avevo accennato alla storia del Monacheddu nei ricordi di mio padre, che di seguito riporto:
“Un racconto che avevo già sentito in passato, di cui non ricordavo più i particolari, me lo ha ricordato mio padre, in questo suo racconto dei fatti di casa. Suo nonno Natale aveva la stalla per il suo mulo poco lontano da casa. Nella stalla si racconta ci fosse u monacheddu che era un bambino col cappellino rosso. Qualcuno l'aveva visto, e questo qualcuno gli chiese cosa facesse davanti al focolare e lui rispose: “mi scaldo la lella...” Questo avvistamento doveva essere avvenuto prima che il locale fosse adibito a stalla. Il monacheddu era un essere della fantasia popolare di indole buona, che non porta male, ma che al contrario poteva portare bene alla casa.
(Dal mio libro: Kakovia, 2004)
Qui in sintesi quanto riportato dal Lapucci.
“”Il Monacheddu
La credenza nel Monacheddu è particolarmente diffusa nel territorio di Crotone e in genere in Calabria. E' un folletto che ama scherzare facendo burle e cercando di farsi vedere meno possibile. Abita di preferenza nelle soffitte, sta volentieri dentro la cappa del camino, divertendosi a far cadere fuliggine nei paioli, nei tegami.
Il Monacheddu è tutto nero con un cappellino rosso e non si sporca mai perché ne è gelosissimo. E' piccolo di statura e s’affeziona alla casa. Se prende un particolare affetto per qualcuno lo fa diventare ricco. La sua presenza rallegra la casa facendo scherzi: di notte disfa la maglia che le donne hanno fatto di giorno, nasconde pettini, orecchini, anelli, allenta i legami dei cani e delle capre.”
Monacello
Il Monacello abita nelle case e si diverte a fare burle e dispetti: ama nascondere la roba, annodare spaghi, far cadere cose delicate, a volte per serate intere.
Solo i morti ce la possono con il monacello. Quando esagera, o non riuscite a ritrovare qualcosa smarrita, andate dove avete perduto l’oggetto e recitate quattro avemmarie e una requiem aeternam: per le anime del Purgatorio dimenticate; per i condannati a morte; peri suicidi; per chi muore di morte improvvisa. Subito uno di questi, riconoscente, si incaricherà di farvi ritrovare la roba.
A Sorrento ’O Munaciello ha l’aspetto d’un vecchietto con tanto di parrucca e bastone: fa dispetti un po’ cattivi e punisce chi racconta d’essere stato beneficato da lui.
Monachicchio
Conosciuto nella zona di Eboli ne parla diffusamente Carlo Levi nel suo Cristo si è fermato a Eboli: "I monachicchi sono esseri piccolissimi, allegri, aerei: corrono veloci qua e là e il loro maggior piacere è di fare ai cristiani ogni sorta di dispetti. Fanno il solletico sotto i piedi agli uomini addormentati, tirano via le lenzuola dai letti, buttano sabbia negli occhi, rovesciano bicchieri pieni di vino, si nascondono nelle correnti d'aria e fanno volare le carte, e cadere i panni stesi in modo che s’insudicino, tolgono la sedia di sotto alle donne sedute, nascondono gli oggetti nei luoghi più impensati, fanno cagliare il latte, danno pizzicotti, tirano i capelli, pungono e fischiano come le zanzare.
Ma sono innocenti: i loro malanni non sono mai seri, hanno sempre 1'aspetto d'un gioco, e, per quanto fastidiosi, non ne nasce mai nulla di grave. Il loro carattere è una sa1tellante e giocosa bizzarria e sono quasi inafferrabi1i. Portano in capo un cappuccio rosso, più grande di loro: e guai se 1o perdono: tutta la loro allegria sparisce ed essi non cessano di piangere e di desolarsi finché non 1'abbiano ritrovato.
I1 solo modo di difendersi dai suoi scherzi è appunto di cercare di afferrarli per i1 cappuccio: se tu riesci a prenderg1ie1o, il povero monachicchio scappucciato ti
si butterà ai piedi in lacrime, scongiurandoti di restituirglielo.
Ora i monachicchi ... conoscono tutto quello che c'è sotterra, sanno il luogo nascosto dei tesori. Per riavere il suo cappuccio rosso, senza cui non può vivere, i1 monachicchio ti prometterà di sve1arti il nascondiglio d’un tesoro. Ma tu non devi accontentarlo fino a che non ti abbia accompagnato; finché il cappuccio è nelle tue mani, il monachicchio ti servirà, ma appena riavrà il suo prezioso copricapo, fuggirà con un gran balzo, facendo sberleffi e folli salti di gioia, e non manterrà la sua promessa.
Nello stesso brano l'autore riferisce che ad Ebo1i si crede che i Monachicchi siano gli spiriti dei bambini morti senza battesimo.
(Carlo Lapucci, Dizionario delle figure fantastiche, pagine 226-227 Vallardi, 1991)

La storia di Malco (Marcu nta rutta)

Nella tradizione popolare cirotana il nome di Malco corrisponde al Marco, che viene riportato in una espressione dialettale nel libro di Egidio Mezzi, che recita: Ca vo' sbattiri comi Marcu nta rutta, che tu voglia sbattere (la testa) come Marco nella grotta.
Nel Dizionario delle figure fantastiche, del Lapucci, viene riportata la storia di Malco, un personaggio citato nel Vangelo di Giovanni, che così racconta:
“”In una caverna sotterranea si può incontrare l'anima di Malco colui che mentre Cristo era interrogato dal Sommo Sacerdote, gli tirò una schiaffo (Giovanni, XVIII, 22). Cristo lo condannò a girare fino alla fine del mondo intorno alla colonna della flagellazione. Pare che il terremoto della morte del Signore l'abbia fatto sprofondare con tutto il cortile dove avvenne la flagellazione e il Malco continua a girare frustando la colonna. I suoi piedi con i secoli hanno scavato un solco nella roccia, tanto profondo che la fossa gli arriva fino al collo. Quando Malco avrà consumato la pietra fino a scomparirvi con tutta la testa, sarà il tempo della fine dei secoli.
Per l'esattezza col nome Malco il Vangelo indica colui al quale Pietro tagliò un orecchio (Giovanni XVIII, 10).”
“Secondo una tradizione di Trapani, Malco per quello schiaffo si trova incatenato in fondo al mare in un luogo imprecisato. Quando sente passare una barca o qualche altra imbarcazione, se avverte voci umane, chiama e invoca aiuto. Però guai a chi gli risponde, dato che Malco ha un grande tamburo su cui batte un colpo fortissimo. Allora il mare si spalanca e trascina nell'abisso la barca con tutti i malcapitati.””
 
Ed ecco nella Bibbia le parole del Vangelo di Giovanni:
Giovanni, XVIII, 10. E Simon Pietro, avendo una spada, la trasse, e percosse il servitore del sommo sacerdote, e gli recise l'orecchio destro; or quel servitore aveva nome Malco.
Giovanni, XVIII, 22. Ora quando Gesù ebbe dette queste cose, un dei sergenti, ch'era quivi presente, gli diede una bacchettata, dicendo: così rispondi al sommo sacerdote?
C'è quindi del vero nella leggenda popolare di Malco, ma il sergente che diede la bacchettata (non lo schiaffo) a Gesù non era Malco ma un suo parente. Infatti al versetto numero 26 si legge: Ed uno dei servitori del sommo sacerdote, parente di colui a cui Pietro avea tagliato l'orecchio, disse: Non ti vidi io nell'orto con lui?
Malco non era il solo personaggio dei testi sacri elaborate dalla fantasia popolare. Molti dei personaggi della Passione di Cristo sono entrati nella vita quotidiana della gente comune. Alcuni, i più noti dei quali, sono: L'ebreo errante, un personaggio simbolo della vita errante del popolo ebreo. Giuda, l'uomo senza pace, il traditore dell'amicizia e dell'amore. Pilato, che continua a scrivere la sua sentenza in eterno.

Carlo Lapucci, Dizionario delle figure fantastiche, alle pagine 205-206, Vallardi,1991
Egidio Mezzi, Ciro', proverbi e canti popolari, nel capitolo Imprecazioni e bestemmie, n° 50, pag. 145, Studio Immagine Futura, 1991