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Margherita Astorino e la sua "Pittura di Silenzi"
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Margherita Astorino e la sua "Pittura di Silenzi"
di Elio Galasso - Critico d'arte e Direttore del Museo del Sannio in Benevento
Un viaggio da leggere a ritroso, per me, la pittura di Margherita Astorino. Si apre di spalle, direi dalla fine. Così sembra suggerire il suo dipinto Cavalletto di pittore, un silenzio apparente prima che l'artista dia inizio ad un nuovo evento pittorico su uno scoglio che sfida le onde del mare. Ma forse l'attrezzo è stato lasciato lì come un congedo dato da lei, con sottile ironia, a un interlocutore sconosciuto sul ciglio dell'ignoto: io vado, tu seguimi, se puoi… Un itinerario d'arte dunque non in sequenza cronologica da percorrere cominciando dal principio, bensì un procedere tutto al femminile, per sinuosità e sottintesi, assonanze e sfumature.
Si tratta di frammenti di realtà, estratti dal 'continuum' che ci avvolge e sottoposti a lente di ingrandimento o, all'opposto, di distese sconfinate, perse all'orizzonte. Sono figure umane, a volte relative ad ambiti privati, ma non sempre rassicuranti, altre volte appartenenti al caleidoscopio di immagini che specialmente con i ‘media' attraversano le giornate di noi tutti, l'angolo dei giardini pubblici con la panchina dove si apparta unGiovane carabiniere al telefono, il ritratto d'un Ragazzo di colore, consapevole della sua condizione marginale. Niente di inquietante, tuttavia.
Evidenti le caratteristiche che accomunano le matite monocrome e gli oli a tinte prevalentemente complementari - neri e viola, verdi e rosa, ocra e azzurri - i lavori a spatola, dove guizzano gialli e rossi e tinte più ardite, e i pastelli teneri. A contemplarle in solitudine, queste scene rimandano a una osservazione continua di relazioni effimere, a contatti tentati, ad atmosfere in cui freme un pensiero segreto, ad assenze tra le quali l'autrice va timorosa alla scoperta di sensazioni. Per comprenderne la valenza artistica occorrerà tuttavia rintracciarne i fili nascosti, o meglio mimetizzati, nel labirinto che racchiude quei silenzi. E solo allora accadrà l'incontro con la Astorino che costruisce il suo mondo, la sua filosofia di vita, nello stupore d'ogni giorno e con impegno.
Nature morte con pochi utensili e domestici arredi e foglie aggrappate ai rami e frutti e semi esposti dal taglio, grappoli d'uva e melograni imbanditi, un microcosmo di elementi che diventano ciascuno un universo di forme, vacuità profonde e illusionistici aggetti in piena luce, superfici setose e grumi ruvidi, fiori al culmine della maturazione, persone osservate con distacco, come succede perfino al Bambino col cappello benché pertinente alla nidiata di casa della pittrice, una sorta di bambolotto attonito tra altri balocchi, creature emerse quindi da un immaginario nato da suggestioni mentali piuttosto che da una realtà vera da bloccare nel ritratto. Ma poi le dimensioni si ampliano, e i dettagli, anche pervasi di insidie, si fanno simboli: unaSerpe tra steli di fiore racconta di una natura non scontatamente amica, la Battigia deserta d'un mare tranquillo fa da ribalta alla boccia di vetro in primo piano dalle cui trasparenze un pesciolino prigioniero trascura indifferente l'acqua immensa che non raggiungerà mai.
Qui, dunque, molto è solitudine silente che, strappando l'osservatore alla banalità quotidiana, lo obbliga a guardarsi dentro, a porsi interrogativi, sulla propria presenza in questo mondo, su ciò che perde significato fuori della sua attenzione, sui rapporti reali tra le cose, tra i valori, vale a dire le domande che evitiamo volentieri di formulare per evitare turbamenti.
Le pone invece Margherita Astorino, soprattutto a se stessa, nell'intento poi tutto personale di rintracciare e valorizzare ogni possibile spazio di libertà, intellettuale e non, che la vita che le è toccata possa avere stratificato in lei o attorno a lei. Per questo, ogni suo lavoro d'arte racchiude anche sensi di umanità, pronti a incontrare dialogo e sguardi e desideri.