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Biografia Elia Astorini

Chi egli fu, come Fu maestro dell'ab. Gimma da Bari, e quale dottrina seguì

Astorini visse nel secolo, che susseguì a quello dei grandi pensatori italiani del Risorgimento; vi seguì la rivoluzione dottrinaria, che fu contrastata e calunniata, ma non spenta. Egli fu apostolo non d'idee astratte o d'udenologie religiose, mad'una certa emancipazione intellettuale.
L'Astorini fu anche nelle Puglie; e, nella sua breve dimora in Bari, vi tenne cattedra, e vi lasciò tracce profonde delle sue virtù e delle sue dottrine. Egli fu dotto uomo e valente maestro: colle sue opere concorse all'incremento della let­teratura filosofica italiana, e colla sua scuola valse ad ispi­rare, anche a Bari, fecondi ingegni.
Di lui hanno scritto pochissimi. Lo ricordò con affetto l'abate Gimma, suo discepolo in Bari. Fu ingegno fecondo, più che precursore dì grand'idee. Nella sua vita si notano molte contraddizioni e queste riveleranno piuttosto l’illiberta’ dei tempi suoi e la debolezza del carattere di lui, ma non sono mai contraddizioni che  possano infirmare un grande ideale come quello dell’Astorini.
L’Astorini fu padre carmelitano. E come gran parte  dei Padri del suo tempo, e non meno anche prima e poi, meditò sulla vita, sulla natura, sui libri; e fu un po' ribelle alle leggi umili del suo Ordine e credule della sua religione. II Carattere di lui "ormeggia quello dei Bruno, dei Campanella, dei  Vanini”; ma ei non fu pari a niuno di costoro non per l'inventiva, non  per la tempra.  Ebbe a lottare  ancor lui coi pregiudizii, colle ipocrisie, colle tirannie, e colle censure; fu costretto a ramingare , ma non fu martire. Fu vittima pel suo ideale, ma finì placidamente, studiando.  Egli nacque nel dì 3 del 1651. Dopo varii  anni di forti e maravigliosi studi, fu costretto, ancor giovane, a sfuggire le persecuzioni della inquisizione e a rifugiarsi oltr’alpi. Con disperata risoluzione, dice il Gimma, andò dopo il 1683 a Zu­rigo, indi a Basilea, dove lo si trova studioso della medicina e discepolo dell'Harder, che fece molto conto degli studii di lui. Quivi prese cognizione de' vari sistemi della Teologia de’ protestanti. Fu poi consigliato dei vari suoi celebri professori ad andare nel Palatinato, d'onde passò a Marburgo, e vi fu vice-prefetto nella Università; quivi ebbe facoltà d’insegnare Filosofia; quivi sotto la disciplina del Waldsmied si diede alla medicina pratica. Insegnò Matematica a Groninga, e v'ebbe incarico d'insegnarla ai Francesi cadetti: quivi con grado di dottore, ottenuto nel 1686, tenne cattedra in Medicina, ed ebbe occasione, per dar prova del suo valore in questa scienza, di prendere a svolgere per tesi di laurea: De Vitali Oeconomia foetus in utero; e vi sostenne l'opi­nione della generazione dall'uovo. Viaggiando in Olanda, ebbe pratica coi teologi; e, per le discordie tra i protestanti, fu ispirato a scrivere in favore della Chiesa cattolica. Poscia, pienamente disgustato delle controversie protestanti, prescelse l'unità della fede cattolica. Postosi in attrito co' protestanti, non si vide più tranquillo oltr'alpi, e sentì il bisogno dì ri­tornare in Italia, Per questo, nel 1689 domandò un salvacondotto da Roma, mostrandosi ravveduto. Ottenutolo, abiurando nelle mani del vescovo Munster,  potè ritornare in Italia, protetto dalle autorità ecclesiastiche doltr’alpi. La conversione di un tanto uomo fu accolta con viva soddisfazione dalla Curia romana, e a lui furon fatte mille profferte di ossequio. Egli, animo debole, s'entusiasmò della nuova vita, e promise di scrivere nuovi libri a favore della Chiesa: fu allora delegato dal suo Ordine di predicare generale a Pisa e fare l'annuale a Firenze (1690). Lui ebbe grandi onoranze: fece conoscenza coi matematici, e provò un po' di ristoro dopo tante traversie e calamità sofferte. A Siena fu invitato come professore di Matematica nella nuova Acca­demia dei Nobili Senesi, e insegnò Filosofia Naturale nel­l'Università: fu fatto Principe e Censore dell'Accademia Senese de' Fisiocratici. Rinunziò poi alla cattedra di Siena e ottenne d’esser fatto maestro di Retorica in Roma (1693). E’ in quest’epoca che si rese famoso per l’opera (Prodromus apologeticus ecc. (inserita nella Biblioteca massima pontifì­cia con una biografia di lui) riguardante l'autorità della sede apostolica. Fu poi prefetto degli studii e commissario gene­rale nel Convento di Cosenza, dove non gli mancarono altri disturbi. Vedendosi perseguitato, si ritirò a Cervinara. Fu più volte a Napoli, e nel 1700 vi si recò per schivare nuove brighe e per pubblicarvi le sue opere (1): quivi conobbe ed ebbe amici l’Orsini, poi Papa, e lo Spinelli, principe di Tarsia. Dallo Spinelli fu fatto custode della propria Biblioteca; e, poco dopo, addolorato già per la morte d'un suo caro nipote Francesco Mainerio Astorini, fini a Terranuova nel 4 di aprile del 1702.
Questa semplice menzione di una parte dei casi della vita dell'Astorini lo rivela. Egli si trovò ne' centri più appas­sionati pel nuovo metodo nella ricerca del vero. Questi erano difatti il rifugio e l'agone de' seguaci delle nuove dottrine. Egli in Italia si era veduto perseguitato con sospetti e ca­lunnie; era spaventosamente additato come mago : ed esigliò per la Svizzera da Bari.
E come si trovava a Bari?
L'Astorini fu calabrese di Albidona,  secondo i più, e dì Cirò secondo il Zavarrone. Il suo vero nome fu Tommaso Antonio, che mutò in convento per quello di frate Elia. Fu istruito in Grammatica, Poetica, Rettorica e Greco da suo padre Diego, il quale fu uomo di molte lettere e di scelto sapere e professò medicina. Sedicenne, entrò fra' Carmelitani ; e, così giovane, fu visto su' pergami e nelle Accademie. Andò a fare la professione a Napoli, come dice il Signorelli: ivi nel Convento del Carmine Maggiore studiò Filosofia aristo­telica col Russo; studiò poi a Roma Teologia col Perez de Castro. Tornò a Cosenza per la morte del padre, e s'occupò ad ordinare le faccende domestiche. Insegnò Filosofia dap­prima nel Convento di Cosenza, e poi in quello di Penne in Abbruzzo, II giovane frate Elia, come dice il Mazzarella da Cerreto, si giovò sommamente degli studii fatti a Napoli e a Roma, e pel suo profondo intendimento e pel fervido in­gegno veniva da tutti ammirato; e tanto sapeva fare a meno dell'assistenza dei superiori che gli si permetteva di scrivere in fronte alle sue conclusioni : defendet ipse solus, Per la sua vastità di dottrina fu ammirato dal popolo; dai potenti fu meno ammirato e più temuto. Tra le regole del suo Or­dine sì sentiva a disagio; meditandovi molto su, abbando­nava il Peripato, per darsi alla libera maniera di ragionare, propagando in Calabria e a Penne la nuova Filosofia corpuscolare come la qualifica il Gimma. L’inquisizione s’insospettì di lui, lo imputò di magia, e non lo lasciò tranquillo; mostrò di volerlo punire. L'Astorini se n'impauri; decise d'esigliare dall' Italia. Chiamato a Roma per predicarvi l'an­nuale, non accettò non confacendogli l'aria. Dimorò alquanto in Albano; ma vedendo che le sue opinioni eran prese per delitti contro là religione, domandò di trasferirsi in Venezia È per questo che si trovò a Bari nel 1683 per prendere cioè col mare la via di Venezia.
Ma la cittadinanza di Bari riconobbe il suo sapere, inter­pretò il suo bell'animo, e l'invitò a perdurarvi. E l'Asto­rini accettò di soggiornare a Bari ; v’insegnò Matematica e Filosofia; vi predicò l'annuale nella Basilica di S. Nicola. Il suo sapere destò l'ammirazione dei nobili, dei dotti, e dei giovani di Bari e,della Provincia.
L'Astorini era seguace delle dottrine sperimentali e cri­tiche dei filosofi ed innovatori naturalisti. La logica delle dottrine naturali, pur non ridotte a scienza, attiro’ sèmpre le simpatie degl'ingegni fecondi. E l'Astorini, propagando il nuovo metodo di scienza, fece discepoli anche a Bari, e tutta l’efficacia didascalica sua può riassumersi in un nome, nel nome del Gimma.
II quale fu fedele e affettuoso seguace dì lui, s'appassionò per le scienze, e se ne rese interprete e sostenitore. L'en­ciclopedismo dell' Astorini fu assimilato dal Gimma; e que­sti è tramandato ai posteri pel suo immenso sapere e per quel sapere intinto di enciclopedismo.
 
Note
(1)   In Napoli pubblicava: nel 1700, Della vera chiesa di G. Cristo;nel 1701, Elementa Euclidis, già principiati ad essere pubblicati in Siena il 1690; nel 1702, Àpolloniii Pergaei Conica.
Rimangono inedite le seguenti opere: 1. De recto regimine Catholicae Hierarchie; 2° De Vita Christi; 3." Apologià integra pròfide catholica ad versus Luteranos et Calvinistas; 4° Archimedes restitutus; 5° Commentaria ad scientiam Galilaei de triplici motu;6° Philosophia symbolica; 7.° Ars magna Phytagorica; 8° Decamerone pitagorico; 9°  Il Consenso e Dissenso delle tre grammatiche ebraica, arabica, e siriaca, e ‘l  modo facilissimo di apprendere ciascheduna  da se stesso in breve tempo.
 Ma il Gimma, prima di seguire la disciplina dell’Astorini, era stato educato dai Gesuiti. E si sa quanto è soffocato il carattere  coll’educazione impartita dai Gesuiti, può immaginare che il Gimma, forse per reazione a quella educazione, sì trovò anche at­tratto nell'orbita dell'Astorini. Certo egli comprese l'ideale dell'Astorini, e lo fecondò. Le ragioni di questo, per me, stanno: nell'ingegno del Gimma, — nell'arte dell'Astorini, — nello spirito della dottrine dell'Astorini.
I biografi del Gimma poco o nulla ci riferiscono sulla edu­cazione di lui. Eppure, la formazione del carattere meglio spiega le tendenze e le opere dell'età matura. Dalle idee manifestate nelle opere di lui, può indursi quale fu il suo carattere, e quale influenza potè esercitare su di lui l’Astorini. Il Gimma è più noto dell’Astorini; poco creò di suo; studiò e scrisse moltissimo; ebbe animo per quanto digni­toso, per tanto mitissimo; non s'oppose allo spirito dei tempi suoi; fu ammirato e rispettato. Prima dell’Astorini, l’esperimentalismo e il criticismo nel sapere destarono sospetti, timore, orrore; e per questo sapiente, come il Bruno, si finiva coll'esser martire. Al tempo dell'Astorini, il dispo­tismo inquisìtoriale meno avea a reagire contro la coltura innovata: quei pochi, che potevano ancora elevarsi ad un ideale di coltura libera, evitavano di provocare l’inquisizione, erano infiacchiti, e, più che tormentati, erano disprez­zati e angustiati. Al tempo del Gimma ogni tentativo di li­bero pensiero era sterile: il sapere era cessato di divenire un ideale, una ricerca , una gloria; era divenuto un ozio, una pompa, uno svago. Ricominciava però a ridestarsi il libero pensiero, per poi manifestarsi tutto intero nella Rivoluzione Francese; ma al tempo del Gimma, cioè alla fine del 600 e all'inizio del 700, in Italia il pensiero era assopito, il ca­rattere era infiacchito. Quando l’Astorini insegnava al Gimma, questi era stato allevato in un ambiente completamente do­minato da' Gesuiti. L'ambiente, in cui era vissuto l'Astorini, declinava; si formava quello in cui doveva vivere il Gimma. Al tempo del Gimma si potea sapere moltissimo e meravigliosamente; e il Gimma seppe moltissimo e meravigliosamente. Pochi vi continuarono  e fecondarono lo spirito della coltura  nuova; e tra questi pochi non v'è il Gimma. IL Gimma ripetè tutto lo scibile e osservò molto, comprese la vastità delle dottrine e le divulgò, ma non vi trasfuse un grande spirito. L’animo suo dunque non era un animo indocile, insofferente di gioghi, precorritore; era un animo mite, facile, impressionabile, pronto, semplice. Quando fu educalo dai Gesuiti, egli amante della fede, forse quella fede non poteva sentire sotto la guida dei Gesuiti; quando conobbe l'Astorini, nell'arte acuta, chiara, appassionata di lui, riconobbe più la fede sua. II Gimma forse non capì il dubbio, che, in fondo, se non agitava l'Astorini, risiedeva nello spirito delle dottrine di questo; ma comprese la lar­ghezza, la chiarezza, la logica del nuovo sapere, e, animo aperto a credere, vedeva tutto destinato a rafforzare quella sua fede. Il Gimma fu d'ingegno acuto, e prese parte attiva in tutto il movimento intellettuale del suo tempo.
Sebbene gli storici della letteratura non parlano che della Idea dell'Italia Letterata del Gimma, e non la ritengono che come un abbozzo indigesto di notizie, pure quest'opera non va sola considerata : essa va ricordata per un motivo nobilissimo. Non va considerala sola, perché in essa appena si riflette tutto il vero e vario sapere di lui, che moltissimo concorse alla coltura dei suoi contemporanei; va ricordata con orgoglio, perché quella storia letteraria nacque come protesta contro le pretensioni letterarie dai Francesi d'allora. A ragione il Chiaja (G. A.) scrive:  che il Gimma ebbe gran parte in tutto il movimento di quell'epoca, lo seguì in tutt' i suoi particolari, sia nei progressi della filosofia natu­rale, sia nello sviluppo delle scienze giuridiche e della sto­ria, sia nel miscuglio di nuovo e di vecchio, di vero e di falso, di sostanziale e di superfluo, che contrassegna quell'epoca, e si trova in gran parte ritratto nelle opere di lui; le quali per questo rispetto hanno una grande importanza storica. E questo meglio si rivela, quando si consideri col Chiaja stesso  che « la pubblicazione dell’Italia Letterata fu uno dei maggiori avvenimenti dell’epoca; fu una festa, una rivincita, un trionfo”.
Il Gimma, adunque, fu più un uomo dotto che una mente propriamente detta; e fu solo seguace dell'Astorini in quanto predilesse le sue dottrine e ricercò il sapere. Ma in tutte le opere di lui non si rivela la convinzione scientifica.
 La scienza da lui è fatta per pompa, per curiosità per velleità. E, comunque si faceva moltissimo capo a lui a suo tempo, pure non si potea riconoscere in lui che un accurato sostenitore coordinatore del nuovo sapere. Certo è che, privo di fede scientifica, abbandonava la scienza, se l'intimidazione e gli scrupoli gl'imponevano la credulità dommatica. Un ingegno invece come l'Astorini non s'abbassava a credere e a non credere nelle fole drammatiche: l'immaginazione dell'Astorini era sempre portata ad abbattere il domma; era solo per fiacchezza d'animo che egli si riduceva ad abiurare a sostenere una dottrina dommatica: ma il dubbio sempre lo stimolava, e, comunque ritenuto credente , prevaleva il suo odio ad ogni dommatismo. Non cosi il Gimma, il quale era ingenuo di natura sua, e facilmente abbandonava senza rimorso la scienza, per ricoverarsi nella cerchia comoda di una dottrina secondo il preteso buon senso o senso comune; abbandonava la scienza, pur sconfortato se non era sicuro che questa si poteva facilmente sostenere, e tutto ciò comunqu'egli si mostrava appagato dal muovo metodo cosi chiaro. Il desiderio suo di conciliare la fede colla scienza non significava convinzione che la scienza potesse valere almeno al pari del domma , ma significava che la fede dovea  essere infiorata di quel sapere addotto da un metodo tanto splendido. Non vi trovate mai lo scienziato in lui, ma piut­tosto l'ammiratore d'alcune idee scientifiche: il mondo non gli si disvela nella sua intima trama, come al Bruno, ma nella sua immensità e varietà. La incertezza del Gimma, insomma, non può per nulla paragonarsi a quella del Cam­panella o del Vico, che pur si sottoponevano all'autorità della Chiesa, la quale solo riconoscevano per non offenderla ma dalla quale si discostavano, quando col loro acume in­travedevano e scoprivano una verità più chiara, più pratica, più logica di quella additata dalla Chiesa. E difatti il Gimma, se fu rispettato assai a suo tempo, non può essere paragonato, come ben riflette il Ghiaja, ne’ per l’altezza dell’ingegno, ne’ per la profondità degli studi, ne’ per valore delle opere, ad un Vallisnieri, ad un Muratori, ad un Manfredi, ad un Maffei. Sino a noi il nome del Gimma rimane glorioso, non tanto pel suo sapere, quanto per aver compreso che il metodo del Galilei era destinato a grandi rivoluzioni scien­tifiche. Ed è cosi che rimase senza influenza la sua Enciclopedia, perché non è una Enciclopedia ricreatrice, è un’Enciclopedia  ripetitrice la sua. Esso dunque, con un'indole non disposta a creare, e ce lo mostra ancora la sua rilut­tanza all'avvocheria, era inclinato ad ammirare soltanto. Un tale sentimento del meraviglioso dovea trasformarsi fa­cilmente nell'ardore del sapere, specialmente quando quest'ardore era stato eccitato dall' Astorini.

Lo si può tener presente l'Astorini qui, a Bari, dove non son mancate di tempo in tempo individualità spiccate, che hanno dato un movimento speciale alla coltura del paese, e hanno trasformato l'ambiente. Un tale esito dipende talvolta da simpatia. E, pur notando la sembianza dello stesso Asto­rini dal ritratto, riprodotto nell' Elogio Accademico del Gimma, si rivela uno di quei placidi, sereni volti, con acuto sguardo, con pronto e prudente movimento. Ma da quello che ce ne hanno scritto i biografi, si deduce che la sua arte d'insegnare dovea essere efficace. La migliore dimostrazione di ciò si trova nella sua virtù autodidascalica. L'Astorini ebbe la forza di educarsi da sé; fece tesoro degl'insegna­menti avuti, ma rifece gran parte delle discipline subite. Lo stesso Gimma afferma che l'Astorini avea fatto un lungo studio ed avea una chiarezza grande d'intelletto, e che de­stava a tutti stupore tanta dottrina in un uomo di età giovanile, il quale pel suo sapere, per le nuove opinioni da luì espresse, e per la pronta arditezza nell'insegnarle e di­fenderle, non per altro, come riconosce lo stesso Gimma, dovea meritarsi il titolo di savio: già di 24 anni “ non solo senz'aver nelle mani i manoscritti, o alcun libro, insegnava pubblicamente più lezioni il giorno; ma improvvisamente in qualsivoglia scienza, secondo che dai curiosi che volean fare la sperienza, gli veniva proposto l'argomento”(Gimma). Si può insomma figurare l'arte potentissima di lui; che, restio ad apprendere coi precetti altrui, come a dire con l'arte lulliana o chìrcheriana, se ne creava una nuova, quella da lui denominata pitagorica. La vastità e la coordinazione di questa sua arte pitagorica gli rivelava più chiaramente e più intimamente la dottrina universale e gli giovava a ritrovare tra le cose relazioni scientifiche che, da lui intraviste, sono state, poi, poste in rilievo. Con  un maestro così valente chi non si spiega l'entusiasmo, che doveva destarsi nei giovani come il Gimma, amante della verità in tutta la sua chiarezza, compiutezza, elevatezza?

La vita dunque dell'Astorini e quella del Gimma ci rappre­sentano la nota caratteristica del risorgimento della coltura non solo italiana ma anche generale. Tutti si provavano non tanto ad accrescere il sapere quanto specialmente a co­stituirne le basi più sode. Le arti per apprendere e quelle per formare enciclopedie si moltiplicavano. Mancando il me­todo esatto, i criteri diversificavano. L'enciclopedismo valse ad allargare la coltura e preparare la classificazione, che nemmeno fu completamente organica coll’Enciclopedia francese, ma molto di poi coll’incremento della coltura sotto l'influenza del positivismo e dell'evoluzionismo. Il metodo però si formava, ed era il metodo galileiano. La sistema­zione di questo metodo si elaborava dai Baconiani, dai Cartesiani, dai Bruniani ; ma al metodo galileiano va attri­buita tutta la moderna rinnovazione del sapere, sia perché i dati di quel metodo erano sperimentali, sia perché erano logici. Con questo metodo l'influenza della fede naturale è stata tale che talora l’amore alla scienza nuova ha creati eretici, senza destar dubbio alcuno sulla costanza alla pro­pria ortodossia, come succedeva al Gimma. Perché? per­ché la verità naturale si affaccia cosi chiara che non piut­tosto essa colla fede religiosa, ma questa è male accordata con essa. Si tratta di proclamare l'autonomia dalla ragione e la sua indipendenza da ogni autorità di teologo o filosofo, col corredo dei fatti naturali, con libertà di filosofare, senza astrazioni e forme scolastiche. Si tratta di pórre potenti il­lusioni, come quelle dell'ecletismo, che possa valere ad ad­ditare con un criterio non stabile né informato al processo dei fatti un sapere più utile. L'ecletismo poteva avere la sua ragion d’essere  quando occorreva accordare i sistemi metafisici, ma non può servire più, quando la coltura ac­quista una base scientifica. L'accordo dei criteri da un falso criterio; il criterio invece della scienza non è il criterio astratto, che si trova in genere contraddittorio col processo cosmico, ma e’ il criterio logico, è il criterio dato dalle relazioni più o meno compiute, non volute ma ritrovate nei ­fatti, e’ il criterio della costanza, della necessità, dell'im­manenza dei fatti, è il criterio infine dell'interdependenza delle relazioni cosmiche. Per questo ogni credenza, ch'è o ignoranza o astrattezza, non può accordarsi colla scienza, ben intesa, ch'è coordinazione logica di esperienze e osser­vazioni. E per questo non possono tenersi in conto i fatti appresi per esperienza comune o riguardati da un solo aspetto; i fatti scientifici sono scientifici quando sono com­piuti e sono sintetici. E, quando si temono le conseguenze d'un metodo simile, non si è logici; e, quando si dubita della costanza d'un fatto scientifico, non si comprende che diviene scientifico un fatto non perché lo s'incasella nella classificazione, ma più specialmente perché la riprova o esperimentale o logica lo accerta. Con quest' intendimenti non si tratta di abbattere sentimenti e ideali, ma si tratta di riformare o assodare il metodo di conoscere. Dare ai problemi una soluzione più solida, più pratica, più logica era l'idealità dei novatori. Analizzando, classando, storiando un fatto, si viene a relativizzarlo secondo un processo genetico e non astratto. In questo caso la soluzione di un'incognita sono le determinazioni, in cui  essa è  circo­scritta e non sono  le spiegazioni.  Insomma,  lo spirito  di questa scienza nuova è tutta logica naturale e non raziona­lismo, Temete,  o  disprezzate, o allontanate, come credete, le  conseguenze.  Se volete la scienza, bisogna seguire que­st'indirizzo,  che può  modificarsi  come  sistema,   ma  non come metodo, specialmente quando s'induce da questo me­todo il sistema. Non combattete questo metodo; combattete qualsiasi preoccupazione d'autorità o di domma. Non rimane la logica; e, se non volete la scienza nuova, siate più coerenti e franchi a combattere la logica. E non dite nem­meno che questo  naturalismo  affiaccava ed ha  affiacchito lo spirito: ricordate che questo naturalismo è stato sempre accompagnato con quello che si è chiamato umanesimo; e da esso si son formati due nuovi ambienti quello dell’arte e quello della libertà.

Il ricordo dall'Astorini se è gloria per lui, - che più o meno ha intravista la coltura nuova ch'è tuttavia la civiltà nuova, - è inglorioso sempre per altri che conculcarono,

ritardarono, adulterarono il movimento riformista. Ciò serva ancora ad ammonire che la libertà non si arresta né impunemente né efficacemente, sia libertà politica, sia libertà intellettuale.

Bari, Marzo 1884.

  1. DI CAGNO – POLITI

 (Tratto da “ Rassegna Pugliese” di scienze, lettere ed arti . Vol. I – Trani Maggio 1884 n. 5)