Poeti

La storia di un passato glorioso nella poesia di Luigi Siciliani

La storia di un passato glorioso nella poesia di Luigi Siciliani
 
(Ennio Bonea)
“Noi che fummo Greci ma. ..
...Greci più grandi"
L’iniziativa di un Circolo Culturale della città dove nacque, ci porta a ricordare l’uomo di cultura e a ripercorrere il suo tracciato di scrittore con un distacco che non offende il legittimo orgoglio dei concittadini che lo considerano un patrimonio da custodire, ma che corrisponde al metodo della critica letteraria e al compito della storia per inquadrarlo nel panorama calabrese e nazionale, senza preconcetto di simpatia campanilistica o di avversione ideologica e di scuola.
La bibliografia su Luigi Siciliani (Ciro 1881 - Roma 1925) è essenzialmente costituita dalle recensioni alle opere che egli cominciò a pubblicare nel 1906; manca però una vera monografia su di lui. Considero dunque questa mia conversazione, non un adempimento rituale cui sono stato chiamato da una lodevole iniziativa, che mi lusinga per l’invito fattomi, ma uno stimolo a ripercorrere con voi una parte di storia culturale e sociale della Calabria nell`arco di tempo che va dalla fine del secolo XIX al primo quarto del XX secolo, sul filo della vita di Luigi Siciliani, nato a Cirò nel 1881 e morto a Roma nel 1925. Non sono molte le notizie biografiche, né ci soccorre un’autobiografia che l'autore premise a cinque prose narrative apparse nel n. 15 del “Raccontanovelle” il 15 maggio 1920, una rivista diretta dal futurista Enrico Cavacchioli. Si trattava di un profilo interiore che il Siciliani tracciava nella sua sensibilità culturale e della sua identità spirituale, costituitesi compattamente: sulla lezione della grande poesia classica, greca e latina; sulla filosofia pragmatica; sul culto della paganità carducciana; sul mito della “compostezza formale" modellata da Leconte de Lisle del quale vorrebbe importare un anacronistico ed irripetibile "Parnasse” italiano e di cui imita l’atteggiamento di disdegno per la volgarità dei presuntuosi ed ignoranti contemporanei; sulla devozione al Pascoli, specialmente quello dei Poemi conviviali, dei Carmina e delle traduzioni dei classici.
Quand'era ancora studente all`Università di Roma, come un pastorello d'Arcadia mandava sempre a regalare certe "caciottine" del suo paese al Pascoli dl cui era grande ammiratore. Così, malgrado la violenza verbale dei suoi atteggiamenti politici, per i suoi compagni d’ università Luigi Siciliani è sempre rimasto il poeta delle “ caciottine “.
La più recente sfumatura biografica di diretta testimonianza, é quella che Arnaldo Fratelli ha inserito nel suo Dall'Aragno al Rasati (1964) il ricordo della comune permanenza presso il sottosegretario alle Stampe e alla  Propaganda sotto  la direzione di Nello Tarchiani, dove "insieme con altri scrittori e giornalisti riebbe per collega Luigi Siciliani autore di un romanzo di ambiente calabrese, Giovanni Francica, di alcuni volumi di
versi e di traduzione dal  greco.
 
Molto si può ricavare sull’uomo e sull’ intellettuale. Dalle opere del Siciliani, numerose e di vario impegno quasi tutte pubblicate a Milano o a Roma, lungo lo scorcio che va dal I903 al 1923. Esse possono raccogliersi, per schematizzare, in quattro sezioni:
I - SAGGISTICA
1903 – La fonte dei poemi conviviali, Milano Quintieri;
1904 – L’opera poetica di G. Pascoli, Ravenna;
1912 – Commemorazione di G. Pascoli, Milano;
1913 – Studi e saggi;
1918 – I volti del nemico.
 
II – TRADUZIONI
 
1909 – Lettera di una monaca portoghese, Milano, Quintieri;
1911 – Canti perfetti, Ivi, Poi;
Poeti inglesi moderni, Milano, -Mondadori, 1924;
1912 – I baci, Milano, Quintieri;
1921 – Erotici, Milano, Quintieri.
 
III – POESIA
 
1906 – Sogni  pagani, Roma, W. Modes, poi Milano, Quintieri, 1912;
1906 – Rime della lontananza, ivi. Poi, ivi 1912;
1907 – Corona, ivi. Poi, ivi 1912,1920;
1909 – Poesie per ridere, Milano, Quintieri;
1912 – L’amore oltre la morte e altre poesie, ivi;
1914 – Il libro della poesia, Milano, Bietti;
1918 – Canto per le madri, Milano, Sestetti e Tuminelli;
1920 – Per consolare l’anima mia,Milano, Quintieri;
1923 – L’ altare del fauno, Bologna, Zanichelli;
 
IV – NARRATIVA
-Cinque novelle;
1910 – Giovanni Francica, Milano, Quintieri.
Altra fonte, ancora non pienamente scandagliata, è l’epistolario che il Siciliani ha tenuto prevalentemente col Pascoli, Luigi Petrobono e G. D’Annunzio, parte del quale, come di recente ha dato notizia Emilio Mariano ( 1978 ), è stato offerto in fotocopia dal Dr. Fernando Siciliani agli archivi del Vittoriale.
Dalla letteratura degli scritti, dalle traduzioni, perfino dalle citazioni che lo scrittore fa, si scopre la sua concezione estetica, la sua ideologia socio – politica, la sua sensibilità estetica ed il suo rigore morale. Alla fine di tutto, un pensiero di Leopardi: “ Il poeta può trarre la sua poesia dai miti e dalla vita antica così come dalle cose presenti “ , perché esso suggerisce i motivi della vasta chiave ispirativi del Siciliani che va dalla grecità delle liriche di Corona e Sogni pagani, alla contemporaneità di  Rime della lontananza, di Arida Nutrix e di Poesie per ridere e dei temi narrativi di Giovanni Francica.
La vita giovanile di Siciliani, per quanto rattristata dalla morte del padre quando aveva 10 anni, che trova riscontro nel romanzo, non dovette provocare dei complessi nel ragazzo che, come tutti i giovani studiò lontano dal proprio paese, a Roma presso il Liceo Nazareno dei Padri Scolopi, dove conobbe divenendone amico e corrispondente, il dantista Luigi Pietrobono. Si determinò così il distacco dalla terra natale che, col matrimonio con Ermelinda D’Angelo, bibliotecaria della Nazionale di Roma, non sollecitò il traguardo del rientro in Calabria. Di più, l’ambizione di trovare una collocazione distintiva nell’ambiente letterario romano e milanese, ridusse il Siciliani ad uno sradicato e ad un trapiantato, per usare termini della sociologia contemporanea, una condizione che dovette pesare sullo spirito inquieto che trovò sfogo non solo nel giornalismo, nella poesia, nella narrativa, ma anche nella partecipazione vivace ed aperta ai movimenti interventisti, fondando perfino un gruppo nazionalista già nel 1911 con Gualtiero Castellini e dando vita con Carlo Poverelli nel 1914 ad un settimanale che, nella testata “ Tricolore “ dichiarava l’orientamento patriottico e battagliero.
Ma prima di arrivare a questa scelta distruttiva della tensione poetica, Siciliani aveva fatto irruzione dal mondo letterario romano, con due raccolte poetiche: Sogni Pagani e Rime della lontananza.
Il paganesimo di Siciliani è, invece, religioso ed esaltatore delle virtu’ umane,
...Roma
più non trionfa.
Più non trionfa, poi che un Galileo
di rosse chiome il Campidoglio ascese
gittolle in braccio una sua croce e disse
Portala e servi.
 
L’accanimento di Siciliani si spiega in forma di estrema acrimonia: Odii
Molto io so sopportare. Assai cose pesanti sostengo
Con fermo animo come mi comandava un dio,
Certe mi son però nefaste qual serpi e veleno
Quattro: il tabacco, l’aglio, le cimici, la...
 
E’ tale motivo si pone, in apertura di raccolta, in forma meno enigmistica, in esplicite e programmatiche ragioni d’arte: Il nostro canto e la nostra preghiera si rivolga a voi “numi sereni e belli” dell’antico Olimpo, a te “vasta terra (….)  nostra severa madre”, non per resuscitare ombre morte e ridar vita a costumi trapassati,
ma come nobili figli che seguon la gloria dei padri,
risollevar vogliamo la nostra stirpe oppressa,
cui da secoli aduggia la livida croce e i suoi preti,
con le menzogne immani velano gli occhi belli.
 
Non è predicazione eretica, né ottuso anticlericalismo d’accatto, ma fede razionalistica e rimpianto di un’autonomia perduta donde la norma conclusiva della prima lirica:
l’uomo a sé stesso sia e legge e misura; diventi
Come voi numi umani, tale divino l’uomo.
 
Ecco dunque rivelata una costante della poetica del Siciliani,  il culto dell’uomo libero auto determinato, non oppresso dal terrorismo della pena estrema, sconosciuta come incubo immanente dalla religione naturale dell`antica classicità; rimpiange infatti la:
Grecia, mia patria, signora dell’ala mutevol del tempo,
madre in ispirito e fede degli uomini liberi tutti.
Questa patria ideale, questa madre spirituale, egli la sente vibrate nei ricordi gloriosi della sua terra infelice, nella Calabria dimenticata e tradita, abbandonata e rimpianta dai suoi figli, discendenti dei grandi Greci, ora larve che lottano per sopravvivere. E’ l'altro motivo fondamentale e ricorrente nella sua poesia che ha alimentato di metri, di ritmi, spesso di stile dai poeti greci e latini, che egli ha letto, conosciuto e tradotto:
forti son gli uomini, saldi, acuti di mente, tenaci;
ma per il piano li sbianca la trista malarica febbre,
per la montagna li preme la necessità della vita ed
i  lor occhi non sanno la grande bellezza passata.
 
Il mitico passato, lo sconsolato presente, accentuano l’insoddisfazione di Siciliani che si trasformava via via in un pessimista assoluto e senza sbocchi. La sconsolatezza diviene il timbro peculiare del poeta che non lancia messaggi di esortazione, non grida di ribellione ma insiste in un descrittivismo che condensa natura e uomini in un quadro desolato di disperazione, sino nel titolo delle raccolte.
Arida nutrix è la terra Calabra che, come Yerma di Garcia Lorca, ha le poppe, aride di sabbia, madre infelice che non alimenta neppure con l’amore. Della Terra nativa dice:
(Ma) qui le cose sono secolari
e sono antichi gli usi;
e come un gran querceto gli uomini stanno immobili e non sanno che cosa sia mutare.
E la terra li vede scomparire
impassibile e bella.
Pure, com’essi, anch’io
morirò, Dove ignoro:
ma certo nei miei campi dureranno
i gridi delle rane
e all’ombra delle rame
gli assioli di notte piangeranno.
 
L’incidenza dei modelli Leopardi - Pascoli condurrà Siciliani ad una più amara analisi di sé stesso, ad un individualismo nel quale riserverà il dolore del mondo:
la vita passa
senza gioia, né sogni, né speranze,
inique leggi e più barbare usanze,
finché vince la cassa,
la bianca cassa che, d’abete intesta,
con una lenta musica d'addio,
dalle scarpe ferrate al calpestio
darà fine alla festa.
 
Giovanni Francica, è la storia di Cona e della sua gente nelle fasce sociali che la compongono: i padroni e i soggetti, il clero, i partiti; le vecchie piaghe del borbonismo, del brigantaggio e dell’emigrazione; l’analisi delle mitologie positive e negative della famiglia, della donna, dell’amore, della religione e della religiosità; contiene le anticipazioni, ardite per quel tempo, del divorzio e del femminismo.
Mi pare che tre problemi siano da porsi su questa che a me pare l’opera più rappresentativa di Siciliani:
1) quello relativo alla storia interna dell'autore;
2) quello del rapporto con la storia del romanzo del primo Novecento;
3) quella della sua collocazione nel quadro della cultura calabrese.
 
  1. - Nel romanzo, Luigi Siciliani, io penso, ha fatto la storia di sé stesso, non solo per quanto concerne i dati autobiografici che potranno risaltare più evidenti a coloro che lo hanno praticato in vita ma soprattutto perché in esso espande i suoi sogni di gloria e le sue delusioni per l’indifferenza dei critici togati, riversandoli nel personaggio carico di umori e di propositi del poeta Lorenzo Spulica;
  2. - Perché contrappone alle fantasticherie di un futuro da proseguire
3 - Legato spiritualmente e visceralmente alla sua terra, alla provincia, Siciliani non trovò un collegamento con altri narratori, poeti, studiosi, giornalisti calabresi a lui contemporanei, né sul filo della solidarietà di operatore di cultura, né sul versante della competitività o della polemica si hanno testimonianze di rapporti, sia pure formali, con Giuseppe Casalinuovo (1885 - 1942) e col Soffré (1861 - 1927).
Fu dunque Siciliani, più che un isolato, un solitario, ma con strane ansie verso il mondo dal quale si teneva lontano. La più sentita e sofferta, quella della gloria di cui, per consapevolezza senza falsi pudori, si sentiva meritevole; l`altra fu provocata da un amore intellettuale e sanguigno per la Calabria.
Pur cosi legato alle vicende storiche e politiche della sua età, L. Siciliani intellettuale, non ha saputo o non ha voluto legare con il mondo letterario a lui contemporaneo (fu contro l’avanguardismo di “Leonardo"  e la  nuova  cuItura de la “ Voce “ ; ostile  a B. Croce), non cogliendo nel Pascoli, a cui si riferì  per tutta la sua opera di poeta e di traduttore, la meditazione  che egli operò fra il mondo classico e  l’età  contemporanea fino ad essere nono solo il vero iniziatore del Decadentismo, ma perfino, per dirla con Croce, del Futurismo.
Ed é proprio nella commemorazione di Pascoli,  tenuta a Milano l’11 maggio 1912. che il  Siciliani identificò inconsciamente la propria sorte con quella del suo dio poetico, allorché disse che per il poeta “ oltre la tomba é la sua vita e la sua ricchezza e la sua gioia”, specialmente quando il poeta  non è  “ modista, non creatore di plausi e lusingatore di passioni”.
Ennio Bonea, Cirò Marina: Radici storico culturali e sviluppo socio – economico.
(Lo scritto è tratto  da “ I Luoghi di Aleo” Antologia dei percorsi storico – culturali di Cirò e Cirò Marina, Laruffa Editore Srl)