Scrittori

Mattia Preti

Mattia Preti
Il Cavaliere Calabrese
in uno scritto di Luigi Siciliani
 
Non perdeva occasione il Siciliani di parlare della Calabria e di Calabresi. Così è stato per Mattia Preti.   Mattia Preti nasce in Calabria, a Taverna in provincia di Catanzaro, il 24 febbraio del 1613, muore a Malta il 3 gennaio del 1699.
Nel 1913 è stato celebrato a Catanzaro il terzo centenario della nascita, nel 1999 è stato celebrato il terzo centenario della morte. Nel 2013 si celebrerà il quarto centenario della nascita. Luigi Siciliani, a suo modo celebra il centenario del 1913, con un testo, poi riportato nel suo libro I volti del nemico del 1918. Il testo è stato scritto nel 1915 e si compone di quattro paragrafi in cui affronta diversi temi che riguardano il grande pittore.
1 – Mattia preti il “terribile”: Siciliani smonta la leggenda del pittore definito uomo violento, per alcuni fatti di cronaca del tempo, con una accurata ricerca di fonti storiche del periodo.
2 – La vita, le opere: sempre con accurate ricerche storiche, racconta le vicende della sua vita trascorsa tra l’Italia e Malta, e il suo percorso artistico.
3 – Il centenario: la celebrazione a Catanzaro, le personalità della cultura, della politica, gli esperti d’arte, i commenti della stampa, i libri.
4 – La pittura del Preti: un saggio sulle caratteristiche della pittura dell’artista in confronto con i massimi pittori del tempo, il Guercino e il Rubens. Osservando le caratteristiche dei personaggi Siciliani non manca di mettere in evidenza la “calabresità” del Preti.
Tornando alle prossime celebrazioni del 2013 per il quarto anniversario della nascita del pittore si spera che l'eco della notizia, che qui riportiamo, si diffonda come dovrebbe. E venga recepita soprattutto da coloro che dovrebbero cominciare a pensare cosa fare per le celebrazioni. Che speriamo avvengano ancora in Calabria.

(Saverio De Bartolo)

(Dal volume: Luigi Siciliani, I volti del nemico, pagg. 112 – 126)

 

IL CAVALIER CALABRESE

La fama di Mattia Preti, grandissima mentre egli visse, si era venuta nei secoli decimottavo e decimonono lentamente oscurando. La sua gloria era più velata delle sue tele. Dai contemporanei invece gli venne tributata invidia ed ammirazione. Gli ammiratori chiamavano la sua arte «terribile» poiché in essa si univano due qualità spesso divergenti: la robustezza del disegno e la freschezza impressionistica, quand'anche opaca, del colorito. Nella significazione comune di gente che non si curò più di rivedere i quadri del pittore, e ne parlava per sentita dire, il «terribile» di un tempo era diventato sinonimo di sanguinario.  Si giunse così a quella fantastica rappresentazione della sua arte, di tipo spagnoleggiante, tra lo Zurbaran e il Grieco, che si trova ricapitolata e descritta in un'opera, che per altro ha il merito di essere un pittoresco repertorio, vasto e sistematico, scritto con intenzioni e vedute scientifiche, se non perfettamente esatto, delle cose riguardanti la storia della Calabria: intendo dire i tre volumi de La Grande-Grece di Francois Lenormаnt (1).   Alla fama di sanguinario, sparsa oltre che sul pittore sull'uomo, ritratto come un cavaliere violento, un abile spadaccino che sostiene arbitrariamente con le armi le sue ragioni, ha senza dubbio contribuito la vasta biografia che di lui scrisse Bernardo De Dominici (2), nato di famiglia devota al Preti, con il quale ebbe occasione di parlare e trattare a lungo, mentre era adolescente in Malta. Gli attribuisce costui come altri dopo di lui, tre fatti di sangue  - 1°) Una sfida nel Colosseo davanti agli occhi di tutta Roma, con un maestro d'armi tedesco, che vantava pomposamente la sua superiorità sugli italiani, sfida finita con una eccessiva vittoria del Preti, che, tratto dall'ira, avrebbe infierito oltre il convenevole sull'avversario, lasciandolo malconcio - 2°) Un buon colpo di spada assegnato ad uno dei suoi detrattori in occasione dello scoprimento dei tre grandi affreschi istorianti il martirio del santo in S Andrea della Valle a Roma.  3°) La improvvisa fuga, in seguito a ciò, a Napoli, e la conseguente uccisione di una delle guardie che gli contrastavano l'entrata alla città, travagliata in quell'anno dalla pestilenza e però vigilata, o, come oggi si dice; circondata da un cordone sanitario. L'ultimo di questi fatti ha negato in base a documenti Bartolomeo Capasso (3). Affermava il De Dominici che gli affreschi dal Preti dipinti sulle porte della città di Napoli gli erano stati assegnati in espiazione del suo fallo. Provava invece il Capasso che gli erano stati affidati con regolare contratto e per mercede anticipatamente pattuita di mille cinquecento scudi.   Mancato così l'effetto viene a mancare la causa. Faceva inoltre il De Dominici profugo sanguinario da Roma Mattia Preti nell'anno 1656 per affreschi scoperti sin dall'anno 1651 (4). Lettere del Preti recentemente pubblicate (5), provano che sul finire dell'anno 1660 egli era da Napoli liberamente tornato in Roma chiamato  contro sua voglia e trattenuto per lavorare ancora, non si sa di preciso a che, in S. Andrea della Valle. Resta il duello nel Colosseo. Sarà anche vero: ma le partite d'armi erano cosa assai ordinaria in quel tempo e non scandalizzavano alcuno. Che cosa prova dunque tutto questo? Che il De Dominici, esattissimo quanto altri mai nel descrivere parte a parte le pitture del Preti, quanto alla vita, si è divertito a raccontarne la leggenda. Di quale artista non si può far questo? Chi abbia pratica con taluno di loro, sa come facilmente essa nasce; ed il più spesso con  il concorso di loro medesimi. Quale fu dunque la realtà psicologica e artistica del Preti? Vediamo di segnarla brevemente.

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Nacque il 24 febbraio 1613 in Taverna di Calabria, paese poco distante da Catanzaro, da famiglia di origine probabilmente bizantina, denominata appunto qualche secolo prima dei Presbiteri, secondo afferma il De Dominici. Tuttavia da una nota di documenti nobiliari, da lui presentati, non si intende bene; a che scopo (6), ai superiori dell'Ordine di S. Giovanni di Malta, risulta che il più antico di essi in data dell'anno 1497 conteneva un privilegio del re Federico « alli nobile Roberto Gaspare  et Antonio del Prete ». Visse in detto paese sino all'anno 17° di sua età studiando solo, o quasi, indi, si recò a Roma presso il maggiore fratello Gregorio, pittore già noto e accademico di S. Luca.  Quivi compì un lungo tirocinio, studiando il disegno. Viaggiò quindi molto, in Italia e fuori, e molto ammirò dei suoi contemporanei; esprimendo con entusiasmo tutto meridionale la sua ammirazione. Sopra tutti gli piacquero il Guercino e il Rubens, i quali si recò a conoscere di persona a Cento e nelle Fiandre, e ne segui più d'una volta i procedimenti.  La principessa di Rossano,  Olimpia Aldobrandini, vedova di un Borghese, assai lo protesse nei primi anni e lo fece nominare con l'aiuto del Papa Cavaliere Gerosolimitano. Divenuto celebre, dipinse a Modena e a Bologna; tornato a Roma dopo la morte del Lanfranco (1647) s'ebbe l'incarico di dipingere a S. Andrea della Valle (1650). S'inizia così il periodo della maturità e quello meglio noto della sua arte, ricchissimo d'opere. Trasferitosi, come abbiаmo detto, a Napoli, per istoriarvi le porte, dipinge a S. Pietro a Maiella e in varie altre chiese ed eseguisce numerosissime commissioni di privati, tenendo fronte a Luca Giordano e ai suoi ammiratori e scolari. Disgustato, penso, alla fine delle varie opposizioni e conventicole, disgusto naturale in uomo della sua superiorità artistica e morale di pittore senza invidia, accetta nell'anno 1661 l'invito di recarsi a Malta per istoriarvi l'intera chiesa dell'ordine di S. Giovanni a cui apparteneva. L'opera lo occupò per un decennio. (E fu questa, veramente la sua Cappella Sistina!). Né più si dipartì dall'isola, salvo che per una breve assenza al paese nativo, le cui chiese arricchì di quadri ora maltenuti e mal noti, spingendosi da esso sino a Roma. Ricompensato prima dall'Ordine con parchi doni e assai lodi e con pensioni all'estero di difficile esazione, venne finalmente fatto Commendatore. Morì vecchio di 86  anni il 3 gennaio 1699.   Lavorò sempre sino all'ultimo nell'isola e per l'isola, cui occorrendo servì da architetto, e per commissioni sul continente: tra queste ultime si ricorda il bellissimo quadro per il Duomo di Siena, rappresentante una predica di S. Bernardino. Divenuto cogli anni sempre più pio, dispensò i suoi guadagni in elemosine: ingentem pecuniam tabulis quaesitam erogavit in pauperes, afferma la lapide del suo monumento sepolcrale sotto le volte: del San Giovanni da lui istoriato. Questa fu in breve, la sua vita: vita assidua e fervente, di studio prima, di lavoro poi.   Di documenti personali che ce lo ritraggono non avanzano che ventisette lettere, già citate, da lui rivolte al conterraneo Don Antonio Ruffo, principe della Scaletta, il quale stabilitosi a Messina vi adunò una galleria di quadri, che arricchì d'opere notevoli acquistate per mezzo del Preti, fra le eredità e i lasciti pervenuti all'Ordine Gerosolimitano. Da queste lettere risultano alcuni dati che è bene mettere in chiaro. Essi sono: l'onestà assoluta del Preti, a tutto beneficio del Ruffo; si contenta, per la senseria, di qualche taglio d'abito di buon panno, grazioso e non certo gravoso dono pel Ruffo, che esercitava la mercatura; gli offre inoltre, raro esempio di scrupolosità artistica, in vendita un proprio quadro, dichiarandolo tra le sue cose migliori. Ed è tale infatti. Il Ruffo, raccoglitore eclettico che aveva già varie cose del Preti, rifiutò l'acquisto. Il quadro si ammira oggi nel Museo Condé a Chantilly e ritrae l'Ecce Homo e prova che il Preti non l'ingannava.   Altro documentano queste lettere: ad esempio la mancanza di invidia nel Preti. In una di esse sono lodati parecchi fra i migliori contemporanei, senza ostentazione, con semplicità. Provano anche da ultimo il suo carattere un po' risentito, è vero, ma dotato anche di un senso umoristico che è in aperta contraddizione con la leggenda della sua ferocia.   Per molti anni, abbiamo accennato, i suoi dipinti per l'Ordine non gli furono retribuiti secondo il merito, di che egli muove frequenti lagnanze con il Ruffo, potente per parentele nell'Ordine stesso. Tuttavia il suo sdegno non è tale da impedirgli lo scherzo. Il 10 marzo 1669 inviando in dono al Ruffo per sdebitarsi di non so che favore un S. Luca ignudo sopra il bove che dipinge la Vergine, gli scrive: «Viene ignudo il su detto Pittore - allude a S. Luca e a sè stesso - per aver sì poca somma dopo tanti anni di fatiga in questa Isola, e per non aver ottenuto sino oggi più di scudi cento cinquanta di pensione, né si vede modo di ottenerne altro, tanto trionfa la tirannia contro chi ha fatto quel che ho fatto io... »   Dove è dunque la leggenda della sua ferocia? Sdegnoso egli fu certo ed alto di cuore come era alto della persona. Fu uno spirito solitario, nemico alla litigiosità e al basso risentimento, profondamente religioso, senza morbidezze mistiche. Dové serbare alcun che della rusticità montanara nativa; e, contrariamente alla leggenda di ferocia diffusa intorno al suo carattere, fu uomo virtuoso. Il suo più antico biografo, Lione Pascoli, - biogrаfo vero e proprio non si può invece chiamare il fiorentino Baldinucci, che ne faceva cenno nelle sue Notizie dei professori del disegno l'anno 1694 - il quale pubblicò in Roma durante gli anni 1730-36 in due volumi le Vite de' Pittori ed architetti moderni, a distanza cioè di poco più che trenta anni dalla morte del Preti, dice che  « amenissimo era e graziosissimo» : e più oltre, ricordando che in una sua assenza da S. Andrea della Valle in Roma ove affrescava i tre famosi dipinti del martirio del Santo, erano andati non si sa come per terra, e cadendo si erano insudiciati e dispersi i cartoni con gli abbozzi de' disegni, lasciati inavvertitamente sul palco, dopo aver riferito che il pittore stesso rimase in dubbio se attribuire la cosa al caso o a maleficio, esce in queste testuali parole: « Egli era, generalmente ben visto; e tanto che non sapeva di chi neppure per ombra sospettare ». I biografi posteriori, con a capo il De Dominici, ultimo il Lenormant, ci dettero la leggenda di Mattia Preti.

Ora questa leggenda è sfatata.

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E' ricorso due anni or sono il centenario della sua nascita, centenario che tutti i calabresi colti e la città di Catanzaro in ispecie vollero celebrato. Un critico, Angelo Conti, chiese perché tal celebrazione non fosse fatta a Taverna? (7) Ciò provava nel dotto e fine uomo ch'egli è, una scarsa conoscenza delle condizioni locali. Taverna è un piccolo borgo senza stazione ferroviaria, e celebrare ivi il centenario del Preti sarebbe equivalso a privarlo d'ogni solennità non solo, ma anche del concorso e dell'attenzione del pubblico.   Del resto Taverna vi ha preso parte come meglio ha potuto inviando molti dei suoi quadri e partecipandovi per mezzo del suo sindaco. La vicina Catanzaro si è maternamente assunto il carico del rimanente. Alla buona riuscita della cosa parteciparono l'on. Bruno Chimirri, il commendator  Francesco Ierace, il prof. Fausto Squillace che presiede il Circolo di Cultura locale, altri egregi ancora; ma sopra tutti diede la sua opera di studioso modesto e profondo e di organizzatore valente Alfonso Frangipane, indefesso ricercatore e amatore esperto della storia artistica della nostra regione. Si tenne dunque in quell'anno a Catanzaro, accolta nel palazzo del Comune, una mostra di quadri originali e di fotografie riproducenti opere del Preti; i quadri erano pochi in confronto alla grande attività del pittore, molte le riproduzioni e spesso bellissime, rievocanti i quadri sparsi per le gallerie d'Italia e d'Europa e gli affreschi di Malta. Il discorso inaugurate della mostra fu tenuta dall'on. Bruno Chimirri (8).   Ma anche altrove in Italia il Preti era ricordato. Roberto Longhi sulla Voce fiorentina pubblicava il 9 ottobre un lungo studio con illustrazioni in cui il Preti veniva celebrato sopra tutti i pittori del 1600. E questa celebrazione, fondata sopra una nuove e accorta valutazione delle cose del Preti, avrebbe ottenuto largo consenso, se il Longhi per un suo giovanile errore non l'avesse scritta, mostrando noncuranza soverchia per la maggior parte dei suoi lettori, con parole che ostentano soverchio tecnicismo pittorico. Tuttavia essa è quanto di meglio si sia scritto sul Preti. Salvatore Mitidieri in un fascicolo dell'Arte di Adolfo Venturi inseriva un bel saggio biografico critico e vi aggiungeva il primo disegno di un catalogo scientifico delle pitture del Nostro. Inoltre Angelo Conti nell'articolo già accennato si intratteneva a preferenza sulle pitture che si conservano a Napoli e specialmente su quelle da lui fatte di recente acquistare per la Regia Pinacoteca della città. Per il pittore, dunque, ritiratosi a vivere in piena maturità nelle quiete monacale di Malta veniva l'ora della risurrezione e della nuova gloria.   Si aggiunge ora, per coronare l'opera di quell'anno, una ricca pubblicazione degli editori Alfieri e Lacroix di Milano. Essa contiene il testo della commemorazione catanzarese dell'on. Chimirri ed una diligentissima notizia biografica e artistica di Alfonso Frangipane, la quale informa assai bene il lettore su quanto è stato scritto intorno al Preti.  Seguono 61 illustrazioni riproducenti in 35 tavole fuori testo le pitture e le fotografie più importanti della mostra Catanzarese: Esse formano la prima raccolta manuale fatta in Italia delle opere dell'artista (9).

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La pittura dei Preti è ineguale e varia. Ci sono cose di lui abbozzate e cose condotte all'ultima perfezione. Ci sono quadri che ondeggiano tra il Guercino e il Lanfranco ed il Rubens, ed opere invece in cui la sua personalità si spiega potentemente sì da ricordare le parole di una delle su citate lettere al Ruffo: « Chi va appresso, mai va avanti: sempre il nome l'ha il primo inventore di quella maniera » (10). Tali in genere sono le opere della sua virilità, che sembrano portare in germe il nostro settecento pittorico: cioè i soffitti di San Pietro a Maiella in Napoli e la volta di S. Giovanni in Malta. Predilesse le tinte grigie con tratti di rosso e di turchino. Amò la penombra, accanto a fasci di luce raccolta. Nаrra il De Dominici che a Malta nel suo studio la luce pioveva sopra un palco rialzato, su cui poneva i modelli, da una finestra alta non so quanti piedi da terra. Avanzò così mirabilmente nello studio della prospettiva dal sotto in su; come già era mirabilmente avanzato nel ritrarre le figure viste di traverso quasi lungo la diagonale di un cubo. Preferì le rappresentazioni concentrate ed  intense: ma diede anche prova di una versatilità squisita. Rimasi stupito vedendo nella mostra catanzarese un quadro proveniente dalla Chiesa di Santa Barbara, in Taverna, purtroppo mal tenuto, raffigurante la Presentazione al Tempio. Con quale meraviglia osservai i volti luminosi, espressivi, pieni di umanità della Vergine, di S. Simeone e di S. Giuseppe! Il Preti aveva donato alla chiesa del suo paese con quella tela un capolavoro autentico. « Di squisita grazia correggesca » lo chiama, il Frangipane; ed è vero; ma io lo chiamerei piuttosto di squisita grazia calabrese. Probabilmente il Preti lo dipinse sul posto, tanta è la verità locale dei volti, del costume, degli atteggiamenti. Il tipo della donna lombarda si trova effigiato nelle pitture di scuola leonardesca. In quella Vergine del Preti io ho trovato il tipo di donna calabrese. Così anche due teste di un vecchio e di una vecchia che ho veduto nella Pinacoteca di Bologna sembrano tolte a due contadini calabresi. Si è che il Preti dipinse sempre con i modelli davanti agli occhi, ispirandosi a un sano realismo. Se i contemporanei lo rimproverarono di non idealizzare i volti delle sue persone, noi proprio di questo lo lodiamo, come d'una sua caratteristica. E non di questo soltanto. Lo lodiamo per il vigore della rappresentazione e per la sovrana potenza della fantasia: oh, indimenticabili storie di papa Celestino e di Santa Caterina! Oh, impeto nettamente tragico del Convito di Baldassarre e dell'Uccisione di Assalonne! Certo il tempo che reca tanta offesa alla freschezza delle pitture, ha più d'ogni altro offeso la sua, addensando l'ombra ed il buio dove erano il bagliore e la penombra a dar legittimo risalto alle parti ove s'accentrava 1'interesse della rappresentazione. Ma la grandezza del Maestro si rileva pur sempre, ed è orgoglio della Calabria aver dato i natali all'ultimo e maggior pittore del nostro Seicento.   La provincia è un inesauribile serbatoio di energie. Quando le capitali si corrompono, quando in esse i gusti a forza di essere ricercati diventano insensibili, dalle province si riversa su loro un getto di forza vigorosa e nuova. Muove da uomini abituati a considerare la realtà e la natura direttamente, senza tanti diaframmi imposti dalla moda. In provincia quando si ama, si ama davvero e lo stesso si fa quando s'odia. La passione qualunque essa sia, è sacra: da lei nasce ogni cosa stupenda.

Gennaio 1915.
Note:
(1) Paris, A. Levy, éditeur 1881-4. Cf, vol. 2°, pagina 307-321.
(2) Vita de' pittori, scultori e architetti napoletani, voll. 3, Napoli, 1742-5. Cf. vol. 3°, pagg. 314-88.
(3) Archivio storico per le provincie Napoletane, anno III, 1878. pagg. 597-605.
(4) Cf. Attilio Boni: La chiesa di S. Andrea della Valle.
(5) V. Ruffo - Lettere e quadri di Mattia Preti per la Galleria Ruffo. In Archivio storico della Calabria, anno II, n. 1 e 2, 1914, pagg. 21-42 e 157-180.
(6)  «Siamo del parere che per consolazione del cav. fr. Mattia Preti si debbano tali scritture deporre nell'archivio». Così dice il documento. Vedilo nell'opuscolo di Mons. Carmelo Pujia, Fra Mattia Preti, Napoli, 1913, pagg. 51-2.
(7)  Il Marzocco, 19 ottobre 1913.
(8) Un altro discorso, più su citato, tenne M. Carme1o Puija vescovo di Santa Severina, notevole per i documenti biografici provenienti da Malta ad esso aggiunti e per l'ardore con cui rivendica le cristiane virtù del Cavalier Calabrese.
(9) Frangipane - Chimirri: Mattia Preti. Alfieri e Lacroix, editori. Milano, 1915.
(10) Vedi il citato Archivio  storico della Calabria, vol. II, 1914, pag. 173.