Scrittori

Siciliani rivede il Foscolo

Siciliani rivede il Foscolo
di Saverio De Bartolo
 
Luigi Siciliani, in un suo saggio, fa parlare la poetessa Aglaia Anassilide del grande Foscolo, rilevandone alcuni aspetti del suo carattere e della sua figura di uomo in età giovanile.
(Da: Aglaia Anassilide, in Studi e Saggi, pagg. 347-49, Quintieri, Milano, 1913).
“Avendo ella [la contessa Spineda] moltissime relazioni con persone colte ed erudite, parlava a tutti con gentilezza della sua bella giardiniera, come solea chiamarmi, e mi presentava alla sua numerosa conversazione, ove tutti mi ammiravano non so se per far la corte alla mia poesia oppure alla mia protettrice. Un giorno essa mandò a levarmi nel suo carrozzino, onde farmi personalmente conoscere il celebre Ugo Foscolo.
Il suo vestito di panno grigio scuro, senza alcun segno di moda, li suoi capelli rossi, radati come quelli di uno schiavo, il suo viso rubicondo tinto non so se dal sole oppur dalla natura, li suoi vivacissimi occhi azzurri seminascosti sotto le sue lunghe palpebre, le sue labbra grosse come quelle di un Etiope, la sua sonora ed ululante voce, mel dipinsero a prima vista per tutt'altro che per elegante poeta. Egli appena mi vide s'alzò da sedere dicendo: - E' questa la Saffo campestre? è molto ragazza; si vede dai suoi occhi ch'è una vera poetessa.
- Il suo complimento mi fece ridere.
- Gran bei denti! - esclamò egli; - ditemi alcuni dei vostri versi. -
Dietro a queste sue lodi non mi sembrò più tanto brutto; mi feci coraggio e recitai un mio idillio pastorale, ch’egli applaudì avvicinandosi a me più che non permetteva la decenza della vita civile. Mi domandò cosa io pensavo di Saffo.
- Penso, - io risposi - ch'ella fosse più brutta che brava, poichè Faone la abbandonò...
- Oh, cosa dici, ragazza mia? - esclamò Foscolo - questa è una bestemmia; Saffo era bellissima: grande, bruna, ben fatta, ed avea due occhi che parevano due stelle.
« Pregato dalla contessa Spineda a farci lieti dei suoi bei versi, fu compiacente, e ci recitò con molta naturalezza alcune ottave sulla voluttà, alcune terzine dirette ad una sua Virginia, di cui i maligni dicevano che fosse da esso amoreggiata onde ottener grazie più favorevoli alla sua economia che alla sua sensibilità. I suoi versi mi resero estatica... Pareva veramente ispirato da un nume. Tra l'immaginazione italiana brillavano tratto tratto lampi di foco pindarico.
Egli sembrava un genio celeste che rendesse omaggio alle divinità della terra »
Fui grato ad Aglaia per avermi rievocato il poeta giovinetto del Tieste, e per aver tremato davanti alla forza serrata dentro di lui pur senza comprenderne l’estensione. Il Foscolo delle ottave e delle terzine amatorie non giungeva a venti anni. Lo vidi di fronte ad Aglaia tutto pieno di quel mondo di poesia che le sue travagliose passioni gli gelarono in cuore. Egli guardava con occhio cupido la fresca giovinetta e intorno a lui rombava l’ala delle odi future. Oh Aglaia felice! tu hai forse per sempre ignorato il destino di quell’uomo che ti ammirò in quel giorno, e che ebbe cari i tuoi versi perchè uscivano da una bella gola candida e piena, venata teneramente d’azzurro! Che orrore, se il suo destino si fosse per un solo minuto affacciato sulla porta della gran sala di casa Spineda! L’esilio, la fame, i rimorsi, l’ingordigia mai sazia dell’oro, la vanità sopratutto, mortificata e martoriata nelle limosine dei ricchi e nei contratti con gli onesti librai! Aglaia, che orribile destino! Una vita in cerca di bellezza plastica, naufragata nella marea del sentimento romantico. Dai fuochi dell’Ortis alla rinunzia di Turnham Green! che vita, Aglaia!”
Fin qui il Siciliani.
Ma il Foscolo ebbe modo di parlare di se, da poeta, con un sonetto, tra i tanti che scrisse, in cui sfoga le sue ansie, le sue disperazioni, le sue speranze, le sue infelicità amorose per una fanciulla conosciuta a Firenze in età giovanile.
In questo sonetto il Foscolo tratteggia il suo ritratto fisico e morale. E' interessante il confronto con quanto appena riportato del Siciliani.
Solcata ho fronte, occhi incavati, intenti,
crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto,
tumidi labbri ed al sorriso lenti,
capo chino, bel collo e largo petto;
giuste membra, vestir semplice eletto;
ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti;
sobrio, umano, leal, prodigo, schietto,
avverso al mondo, avversi a me gli eventi.
Mesto i più giorni e solo, ognor pensoso;
alle speranze incredulo e al timore,
il pudor mi fa vile e prode l'ira.
Cauta in me parla la ragion; ma il core,
ricco di vizi e di virtù, delira.
Morte sol mi darà fama e riposo.
Si può aggiungere il grande affetto che ebbe il poeta per la madre lontana, il suo dolore per il fratello morto, la nostalgia infinita per la sua isola natale, Zacinto, che non avrebbe mai più rivisto.