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La Storia di Tano - parte undicesima

Parte undicesima

. . . Continua
TANO: “abbiamo la terza chiave!. Non abbiamo un minuto da perdere, dobbiamo correre al paese”.
“Non prima di aver decifrato almeno la prima frase”. Risponde TARCONIO.
E TANO: “ci penseremo andando! E comunque è chiaro che dobbiamo andare nel punto più alto di Cirò, da lì forse capiremo”.
Così dicendo i nostri due amici proseguono, ma il lungo cammino e le emozioni li hanno stancati. Camminano a stento e mentre si avvicinano ad una casa della località FAVARO li vede un contadino che resosi conto delle loro condizioni miserevoli li accoglie con un detto locale: “Saccu vacantu u’n tena all'arditta” (Sacco vuoto non tiene in piedi). Così li invita a fermarsi per mangiare qualcosa. Entrano in casa: è una sola stanza con un arredo povero ma essenziale: un tavolo, il caminetto, la piattara appesa al muro, una cassa, una chitarra battente appoggiata al muro, una tavola tenuta da 4 corde pendente dal soffitto in legno con sopra del pane, una “pertica” con appesi dei salami e delle gialle provole. L’accoglienza del contadino li stupisce e mentre i nostri due mangiano egli li intrattiene chiedendo la loro provenienza e ancora, esprimendosi in dialetto: “a chini apparteniti” (a  quale famiglia appartenete). TANO e TARCONIO non si fanno pregare e raccontano del loro pianeta perfetto, dell’Universo ed altro ancora. Il contadino dice di chiamarsi TINO BINZA e in risposta ai due racconta senza sosta della gente di Cirò, degli intrecci familiari, delle usanze del posto. Di queste una gli parve proprio cucita addosso ai due che ascoltavano a bocca aperta: “dovete sapere – continuò – che da noi c’è un’antica usanza: quella di diventare compari e comari. E proprio domani, il 24 giugno, il giorno di S.Giovanni, seguendo un rito destinato a rafforzare i legami di amicizia e di parentela, si intreccia, formando una croce, un'erba particolare chiamata pilè (pianta aromatica della famiglia delle lamiaceae). Il rito continua con la recita di una preghiera propiziatoria ed in seguito a ciò, i due che hanno intrecciato l'erba, diventavano amici per la pelle e l'uno deve portare all'altro rispetto, provvedere in caso di malattia, bisogno e povertà, per tutta la vita. Così si diventa compari di S.Giovanni.  Durante la stessa notte, è usanza da parte dei giovani, mettere sotto il cuscino dei fiori raccolti in questo giorno sacro, e pare che nel sogno si presenta loro il futuro sposo o sposa”.
Detto questo, TINO BINZA consegna un sacchetto ai due con dentro del formaggio e del pane, dicendo da saggio: “pane e mantu ‘un gravano tantu” (Pane e vestiario non pesano tanto).
Ben riposati e rifocillati TANO  e TARCONIO proseguono; ormai sono vicinissimi a Cirò e avvertono una certa tensione. Ma vediamo un po’ cosa succede….
Passano sotto la località chiamata “COZZO”  ed appare lo sperone roccioso del rione (in dialetto si dovrebbe dire RUGA) ‘u Porteddu. TARCONIO dice: “Porteddu sta a significare che potrebbe esistere una portella, una porta d’ingresso oltre quelle - come dire – ufficiali, che sono quattro: SCEZZARI, MAVILE, FRACCUNU, CUCCUVIA. SCEZZARI perché da quella porta hanno respinto degli svizzeri che un tempo tentavano di entrare in paese. MAVILE da “mai vile” perché ci sono stati un tempo atti di eroismo intorno a questa porta, FRACCUNU probabilmente sta a significare un posto, la porta incuneata in mezzo (fra ancunu), CUCCUVIA probabilmente perché era un posto frequentato da quegli uccelli chiamati “cuccuvedde”.
Si inerpicano su per la scarpata non senza difficoltà, con TARCONIO che aggiunge: “chissà ancora cosa ci aspetta! Cerchiamo di non fare rumore”.
In cima alla salita si trovano davvero ad una piccola porta con delle strane incisioni, a dire il vero non chiare: la porta è vecchissima!  da questa, apertala non senza difficoltà, a mala pena ci si passa: stretta e bassissima, tanto da piegarsi. Finalmente sono dentro Cirò. Per fortuna è quasi sera. La gente stanca del lavoro è tutta in casa a cenare e riposare per riprendere poi il mattino prestissimo. Lungo la stradina interna non c’è anima viva, solo una illuminazione fioca a rischiarare il selciato.
Proseguono.
TARCONIO: “qui siamo nella zona più alta di Cirò. Dobbiamo trovare un posto alto. Forse un fabbricato alto”.
TANO: “andiamo avanti. Ma… aspetta! Qui siamo nella zona chiamata ‘A BANNERA. Dovrebbe essere quella più alta. O perlomeno ci sarà una casa alta. Ecco la chiesa di S. Giovanni”.
I due girano a destra, come per ritornare  indietro, ed ecco che si trovano davanti ad una torre.
“Ci siamo!” – esclama TANO – “ecco cosa doveva essere: una torre dietro la chiesa di S.Giovanni”.
Si guardano intorno, ma comunque TANO ha un senso di inquietudine, come se qualcuno o qualcosa li seguisse o li osservasse.
Scrollandosi di dosso questi brutti pensieri ripensa invece alla prima frase:
“GUARDA AD ORIENTE DAL PUNTO PIÙ ALTO E VEDRAI ARRE’T”.
Continua