Uomini Illustri
La mia collaborazione con Giuseppe Gangale
- Dettagli
-
Categoria principale: Uomini Illustri
-
Categoria: Giuseppe Gangale
-
Visite: 938
La mia collaborazione con Giuseppe Gangale
Nel 1961 abitavo a Catanzaro per motivi di studio. Stavo a pensione, assieme ad alcuni amici, nel quartiere alto della città (San Leonardo), in casa di una guardia carceraria.
Il Professore, che all'epoca era direttore del Fondo Albanico della Biblioteca Reale di Copenaghen, la domenica mattina si presentava puntuale in taxi sotto la nostra casa ed aspettava che il mio amico Renzino scendesse per andare insieme a lui a fare interviste nei paesi di lingua albanese del circondario, Caraffa, Andali, Marcedusa, Vena di Maida.
Renzino con flemma si levava dal letto, si sbarbava, si lavava con calma.
Mentre faceva il nodo alla cravatta dava un'occhiata dalla finestra al professore, che attendeva paziente in piedi accanto al taxi, poi finalmente scendeva.
Dopo qualche tempo anch'io entrai nel giro degli arbereschi (come lui li chiamava) che collaboravano con lui alla documentazione dello stato di conservazione della lingua albanese nella media Calabria.
Qualche volta ci coinvolgeva nelle interviste alle persone, altre volte, all'Hotel Jolly, ci assegnava un testo classico (per es. un canto dell'Odissea, un canto della Divina Commedia) e ci invitava a tradurlo nel dialetto da noi parlato. Annotava ogni parola che dimostrasse la vitalità dell'antica lingua e stimolava a creare neologismi con le radici delle antiche parole, fornendo egli stesso esempi concreti . Ci spronava insomma a rivitalizzare la nostra lingua materna.
L'esperienza più stimolante per me fu quando mi affidò la ricerca del substrato albanese nella comunità di Gizzeria (nei pressi di Lamezia Terme).
Gli abitanti di Gizzeria non parlano più l'albanese, per effetto delle proibizioni imposte nei secoli passati da parte dei feudatari che volevano esercitare così un maggiore controllo sui sudditi.
Io andai a Gizzeria, munito di registratore e di macchina fotografica. Rintracciai nella loro attuale parlata calabrese parole albanesi, ma pronunziate "alla calabrese". Rintracciai toponimi chiaramente albanesi, ma la cosa più interessante fu la documentazione fotografica, che riuscii a portare, del modo tipicamente albanese di trasportare i pesi: legandoli con una corda sulle spalle anziché posandoli sulla testa, come si usa fare in quel circondario.
Negli anni seguenti ci furono diversi congressi delle minoranze linguistiche sparse in Europa, la fondazione del Centro greco - albanese di glottologia di Crotone, la mostra di Palazzo Fàzzari a Catanzaro.
La mia collaborazione col prof. Gangale durò fino alla sua partenza per la Svizzera, poco tempo prima della sua scomparsa.
Dalla collaborazione con lui ho ricevuto un patrimonio di informazione nel campo della filologia comparata indoeuropea e l'esempio di una concezione severa della vita.
Mi risuona ancora nelle orecchie la sua massima "l'ottimo è nemico del buono".
La sua correttezza morale aveva sempre tenuto lontano dal discorso le sue idee religiose ed ogniqualvolta accennavo a tale ambito egli sfuggiva dicendomi: "Lei mi costringe a filosofare: ho smesso di farlo ormai da tanti anni!"
Egli infatti negli anni '20 del secolo scorso era stato un esponente di primo piano del protestantesimo in Italia, tanto che, a tale riguardo, più che di protestantesimo - secondo alcuni - si potrebbe parlare di "Gangalismo".
Aveva diretto per alcuni anni la rivista "Conscientia", che era stata chiusa per difficoltà con la censura fascista. Poi aveva fondato la casa editrice Doxa. In seguito si era dedicato agli studi di glottologia ed in particolare alle lingue minoritarie: soprattutto il ladino e l'albanese. Ci ricordava spesso (per stimolarci) di essere riuscito a rivitalizzare e far rientrare nell'uso corrente l'antica lingua feroica parlata nelle isole Faër Oer prima della conquista danese. Quella lingua non era più conosciuta dagli abitanti delle isole, ma se n'era conservato un testo scritto: il Vangelo. Ciò era bastato per rimettere in uso l'antica lingua e per renderla idonea a comunicare tra uomini del nostro tempo.
La sua opera tra gli albanofoni di Calabria è servita a sensibilizzare al problema della conservazione della lingua materna soprattutto le comunità della "Media Calabria" che, contrariamente alle comunità cosentine e sicule, non sono riuscite a conservare il rito greco nella liturgia e, con esso, i sacerdoti autoctoni in funzione di promotori della lingua e cultura portata in Calabria dalla madrepatria.
Scrivo ciò per l'ammirazione che ho per lo studioso Gangale, anche se nutro dubbi che le parlate delle comunità albanofone della media Calabria possano mai assolvere in futuro funzioni diverse dalla minuta comunicazione nel ristretto ambito delle famiglie e delle rispettive comunità. Anche l'alfabeto inventato da Giuseppe Gangale (più latinizzante, più trasparente e più accettabile per noi) mi sembra avere poche speranze di diffusione tra gli albanofoni, perché arrivato "in ritardo" rispetto a quello pur slavizzante e talora "opaco" di Monastir. Del resto queste cose dissi chiaramente al prof. Gangale.
Voglio aggiungere una considerazione che forse potrà servire a chiarire ulteriormente la mia posizione. Il messaggio del Professore - ricordo bene - era di reagire alla tendenza in atto di omologazione delle culture minoritarie a poche culture dominanti (vedi il dilagare dell'inglese...) e questo - aggiungo io - a prescindere dal codice alfabetico usato. Io penso che la lingua sia fondamentalmente un fatto orale e comunicativo e che tutti noi (che - in un modo o nell'altro - abbiamo operato per conservare i testi e le tradizioni linguistiche delle nostre piccole realtà sociali) abbiamo onorato il messaggio del prof. Gangale: sia che ci siamo serviti del suo modo di scrivere, sia che abbiamo usato altri alfabeti.
Negli ultimi anni della sua vita anche il suo luogo d'origine, Ciro’ Marina, si ricordò di Giuseppe Gangale ed organizzò un incontro pubblico con lui. Recentemente gli ha dedicato un busto in una piazzetta ed ha accolto le sue ossa nel suo cimitero.
Per incarico dell'Amministrazione comunale ho scelto per la sua tomba una sua lirica, rivelatrice della sua tempra di studioso e di apostolo.
PREGHIERA DELLA SERA
Signore, Tu vedi dove io sono giunto:
la strada era lunga
e le tue porte strette, così com’è scritto.
Come tu hai voluto, ho lasciato la casa,
ho preso il fagotto e mi son fatto mendicante.
Come tu hai voluto, ho varcato
montagne e fiumi, ho acceso
guerre, maledetto e benedetto,
assetato di verità, ho parlato
lingue straniere assieme a gente straniera.
Io forestiero tra la mia gente,
io uomo solo tra tanta gente.
Io vetro rotto, eppure specchio
di Te, che trasformi in vessillo un cencio.
Ora ch’è issato questo vessillo
sopra le cime dei monti sui quali
ripararono i miei antenati
e fischia il vento della mia sera,
a Te, Signore, affido il vessillo.
Ti prego io che tante bandiere ho abbassato,
Ti prego io che per anni senza numero
più non ho potuto pregare.
Vedi: la lingua che non si scioglieva,
come quella di Zaccaria senza fiducia,
si scioglie (per chiamarti: o altissimo
o misterioso, o ineffabile,
con le parole morte degli avi,
rugiada benedetta, aspersa
sulle mie aride carte).
Da http://www.openacces.it